© 2000 by Gabriele Chiesa
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Parlando dei primi fotografi che hanno operato in Italia è inevitabile cominciare a trattare proprio di stranieri. La dagherrotipia arriva a noi attraverso due vie: gli intellettuali e gli studiosi che hanno contatti culturali con Parigi e che da questa città importano conoscenze ed apparecchi; i professionisti ambulanti che giungono d'oltralpe per sfruttare commercialmente la nuova scoperta.

I primi diffondono interesse e curiosità per I'invenzione tra la borghesia istruita che accoglie la novità con attenzione per le sue implicazioni scientifiche: alcuni benestanti si trasformano persino in dagherrotipisti per diletto ma questo fermento si arresta al livello di una produzione-consumo strettamente privata, al massimo didattica.

Pochi si rendono conto della portata socialmente rivoluzionaria della fotografia (un ritratto per la Regina ma anche un ritratto per la serva!). Gli ambulanti della prima ora, i pionieri della lastra, si rendono conto di avere invece imparato un mestiere redditizio e, dato che la Francia, I'lnghilterra e la Germania risultano rapidamente sature di concorrenti, scendono in Italia con loro attrezzi fermandosi per periodi più o meno lunghi nelle maggiori città; all'inizio nella sola Italia settentrionale, proseguendo poi verso Firenze, Roma e Napoli. La storia di costoro è spesso simile; quella di Alphonse Bernoud è abbastanza esemplare. Ciò che conosciamo della sua attività è principalmente dovuto al lavoro di Piero Becchetti, Giuseppe Marcenaro e Marina Miraglia.

Egli giunge da Parigi con il socio Lossier e si ferma per qualche tempo a Genova, come altri suoi colleghi pubblicizza I'attività con annunci sulla stampa locale (Corriere Mercantile, 15 aprile 1850). Lavora con il metodo dagherrotipico e il suo studio è in via Scurreria. Esegue ritratti per 5 franchi e, cosa non irrilevante ai fini della diffusione della tecnica, annuncia di accettare allievi e di vendere le attrezzature necessarie. Non molto più tardi si sposta verso sud toccando diverse città per aprire infine uno studio a Napoli con indirizzo "Boschetto della Villa Reale", quasi contemporaneamente e forse immediatarnente dopo, apre lo studio di Firenze in S. Maria in Campo (intorno al 1855).

Gli affari debbono andare evidentemente molto bene ma questo moltiplicarsi degli studi non ci deve stupire. II fotografo affermato si limitava infatti a predisporre gli accessori di arredo e a studiare le condizioni standardizzate di alcuni tipi di posa.

La normale clientela veniva servita da dipendenti od apprendisti mentre solo le persone di un certo censo e socialmente importanti venivano ricevute per appuntamento dal titolare che curava personalmente la ripresa.

Accadeva in questo modo che un solo fotografo possedesse anche 4 o 5 studi in città diverse e che, ciò nonostante, continuasse ad operare come ambulante. In questo caso il termine di ambulante aveva un significato diverso da quello che abitualmente gli assegnano. II fotografo con il suo assistente alloggiava nel migliore albergo e riceveva i clienti nel locale più luminoso che riusciva a trovare in affitto; la sua permanenza in una città poteva protrarsi per alcune settimane durante le quali aveva occasione di conoscere e frequentare per motivi di lavoro i notabili locali.

Era insomma un girovago di lusso; certo esistevano anche fotografi di piazza e di paese che si rivolgevano alla clientela popolare delle fiere ma esistevano anche larghi spazi commerciali per chi intendesse fornire un servizio professionalmente elevato ad un pubblico più selezionato.

Bernoud, come altri e solo nei primissimi decenni della fotografici, apparteneva a questa abile categoria di pionieri. Tale modo di lavorare abbinato alla scarsità di concorrenza e alla crescente sete di immagini, consentirono ad alcuni fotografi di fondare autentiche industrie.

Questo fenomeno coinvolgeva Inattività di diversi lavoratori, dato che si doveva provvedere anche alla fabbricazione del materiale sensibile da ripresa e da stampa. Le varie fasi tecnicamente necessarie impegnavano presso le sedi fisse un certo numero di dipendenti alcuni dei quali, come i ritoccatori, dovevano possedere capacità artigianali rilevanti.

Esistono immagini marchiate Alphonse Bernoud che riportano I'indicazione di città diverse ed è quindi legittimo ritenere che egli non rinunciò a muoversi anche quando gli studi da lui diretti erano ormai tre. Prima del 1866 ne aveva aperto un altro a Livorno in Via Vittorio Emanuele, 71 ed a questo punto gli altri indirizzi si erano trasformati in: Firenze, via dell'Orivolo 51 e Napoli Toledo, 256, palazzo Berio.

II fatto di essere francese gli dava il prestigio della lingua di cui tutta la borghesia culturalmente elevata faceva allora sfoggio ed egli non rinunciò a dichiararsi Photographe médaillé e breveté e a designare le città sedi di studio come Florence, Livourne e Naples anche quando era in Italia da ormai vent'anni. L'autorevolezza non gli veniva certamente solo dagli atteggiamenti snobistici: il suo valore era testimoniato da diversi riconoscimenti anche a carattere internazionale. Partecipò con successo alle Esposizioni di Parigi del 1855, 1857, 1867 e ad altre manifestazioni nazionali come I'Esposizione Nazionale di Firenze del 1861.

Per il professionista di allora il possesso di un diploma o il conferimento di una medaglia costituiva un importante segno di distinzione ed un sicuro strumento promozionale. Tutti i più grandi fotografi dell'epoca si cimentarono a vario livello in questa sorta di Concorsi e si verificò un'autentica sfida a fregiare il dorso delle carte de visite con un'adeguata mostra di onorificenze.

Fotografo di gente nobile, ricca e potente, Bernoud diviene fotografo della Corte Reale Borbonica ed ha anche occasione di riprendere i Savoia a Firenze, nuova capitale. Fiducioso nelle possibilità editoriali della fotografia, concepisce I'idea di utilizzare questo mezzo per produrre immagini in grande serie dando vita ad un'opera che doveva essere una specie di galleria fotografica di personalità illustri: "L'ltalia Contemporaneaquot;.

Operazioni che si pongono sullo stesso piano furono tentate, in genere con scarso successo, da altri autori, ma di questo tratteremo altrove. Fotografo prevalentemente ritrattista Bernoud non disdegnò i soggetti esterni, realizzò riprese stereoscopiche e fotografie di avvenimenti ufficiali quando se ne presentò I'occasione e la possibilità.

L'ultimo anno certo della sua attività è indicato dal Becchetti come il 1872; nei diversi studi subentrarono vari successori che continuarono isolatamente il lavoro. Dal punto di vista tecnico Bernoud abbandona tempestivamente la dagherrotipia non appena i processi negativo collodio e positivo-albume si affermano per affidabilità e qualità; le sue stampe sono lavorate con grande cura e ancora oggi si presentano generalmente in ottime condizioni.

La finezza di modulazione delle tonalità è caratteristica del processo utilizzato e comune ad altri autori ma non finisce di stupire al confronto degli standard attuali. Non è possibile sapere fino a che punto condizionato dalle richieste della clientela ma Bernoud pare prediligere la figura intera che compone con grande varietà di pose e a volte in modo poco conformista.

Quasi privo di modelli di riferimento (saranno gli altri ad imparare da lui e dai pochi fotografi allora in azione) non appare condizionato da stereotipi e può essere indicato tra i massimi esponenti della fotografia ottocentesca italiana. Riprende con abilità e naturalezza i bambini, soggetto difficile per I'immobilità richiesta. Attento al dosaggio equilibrato delle luci, cura con precisione quei piccoli accessori che possono arricchire la scena senza distrarre I'attenzione dal soggetto; è tra i primi ad inserire un drappeggio nello sfondo, ad interrompere la bianca continuità degli sfondi che caratterizzavano anche i suoi primi ritratti.

Pur se non si definisce "Pittore Fotografo" è certamente un artista nel senso esteso del termine; il suo modo di lavorare rimane un punto di riferimento per i fotografi cresciuti alla sua scuola e termine di confronto per i colleghi a lui contemporanei.

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