La realizzazione di una fotografia non termina con il clic.
Piuttosto questo istante, che segue tutta una serie di operazioni e di scelte tecniche ed espressive, è il momento iniziale di una sequenza di processi ottico-chimici che comportano ulteriori decisioni sempre importanti ai fini di ciò che si vuole comunicare. Lasciare ad altri l'esecuzione di tali operazioni significa rinunciare al completo controllo del processo produttivo dell'immagine e i risultati che ne derivano sono così spesso lontani dalle attese e dalle intenzioni.
Sapere osservare,
inquadrare, ...anche deformare, sono certamente capacità
determinanti per la produzione di una fotografia ma costituiscono
solo il punto di partenza. Da qui continua l'attuazione
dell'autonomia creativa già sfruttata in ripresa, fatto che si
accorda con l'eminente soggettività che caratterizza tutti i
fenomeni della visione e della comunicazione.
I procedimenti che seguono lo scatto possono essere automatizzati in modo che, per esempio, le stampanti di un laboratorio si comportino seguendo una logica che renda possibili risultati mediamente soddisfacenti. Gli analizzatori di questi complessi, pur considerando un elevato numero di variabili, non possono però mai acquisire la complessità delle informazioni che l'occhio umano è in grado di rilevare e che solo il fotografo che ha effettuato la ripresa conosce.
Per limitarci al bianco e nero sarà sufficiente osservare che un campo coperto di neve, un prato, il mare... non hanno per le macchine nessun significato; per i lettori automatici delle stampanti, rappresentano superfici caratterizzate da luminosità che si discostano in varia misura da una certa densità standard intermedia.
Essi verranno quindi
"corretti" nel tentativo di assimilarli al valore di
grigio che ritroviamo in una ripresa "normale",
effettuata in medie condizioni di luce. Allo stesso modo, un
fotogramma impressionato su una spiaggia assolata o nella
penombra di un bosco, non sarà interpretato per ciò che
rappresenta, nel rispetto della scala di contrasto che
caratterizza il soggetto reale; le stampe saranno sempre
influenzate da quell'ottusa ricerca di compromesso con cui la
macchina è stata istruita ad operare.
Se l'obiettivo del fotografo è quello di ottenere immagini ricordo da inserire nell'album di famiglia, il laboratorio industriale è sicuramente in grado di fornirgli un servizio adeguato ad un prezzo ragionevole; si tratta di una scelta corretta rispetto all'uso che si deve fare delle stampe, sarebbe antieconomico ed irrazionale seguire altre vie.
Se invece intendiamo
servirci di tutte le capacità creative ed espressive del mezzo
fotografico non possiamo delegare ad altri decisioni che incidono
in modo rilevante sull'interpretazione dell'immagine.
Perché stampare per
proprio conto ?
Naturalmente affidando la
produzione del positivo ad un buon stampatore otterremo
un'immagine piacevole; se ripetessimo l'esperimento servendoci di
altri operatori o semplicemente in un momento successivo, ne
ricaveremmo altrettante gradevoli immagini, sicuramente mai
identiche tra loro. Il fotografo può trovare che una di queste
si avvicina di più alle proprie esigenze di interpretazione e
sensibilità ma nessun altro sarà nelle condizioni di operare
con maggiore correttezza di lui stesso. Capita anche di sentire
discorsi del tipo "...ho seguito lo stampatore indicando gli
interventi che desideravo. " A questo proposito sarà bene
chiarire che per recarsi da Milano a Firenze in automobile
possiamo guidare personalmente la vettura o servirci di un abile
professionista (autista) , cui indicheremo la meta e il percorso.
Il fotografo che vuole l'immagine SUA fino in fondo non
abbandonerà però il volante neppure al migliore pilota
professionista.
Stampare per proprio conto è comunque un'operazione che conviene svolgere solo se il fine è quello di ottenere un prodotto di alta qualità, un'opera, se non artistica, almeno artigianalmente raffinata. pensare di risparmiare rispetto ai processi industriali, quando il lavoro si pone in termini prevalentemente quantitativi è un'illusione che si paga salata in termini di provini, scarti, delusioni e tempo perso.
Stampare veramente bene non è difficilissimo ma richiede un minimo di preparazione teorica e una buona dose di esperienza. Anche qui è vero che sbagliando si impara, ma con i costi attuali dei materiali sensibili è meglio imparare in fretta sbagliando il meno possibile.
Sicuramente non basta leggere un manuale per imparare a stampare perfettamente, né tantomeno leggere queste note. Tuttavia una approfondita informazione facilita l'individuazione degli errori e può aiutare a fornire un metodo di lavoro più sicuro e corretto.
Al risultato finale
concorrono diversi elementi, nessuno dei quali può essere
considerato secondario: gli strumenti, i materiali,
l'esposizione, il contrasto, il trattamento chimico. Il contrasto
del negativo è in relazione alla qualità dell'illuminazione e
al tipo di pellicola impiegato. Per il bianco/nero esso è molto
più elevato per le pellicole lente (cioè di bassa
sensibilità).
La carta fotografica, anche
se sono possibili aggiustamenti, farà comunque fatica a
registrare tutti i particolari presenti nelle alte luci e nelle
ombre, normalmente sarà necessario fare delle rinunce in un
senso o nell'altro. Allo stesso modo una stampa da negativo di
pellicola molto rapida risulterà facilmente "piatta" e
poco brillante, dato che questo materiale tende ad avvicinare la
resa luminosa di superfici che abitualmente appaiono più
contrastate. Per tentare di rimediare, almeno parzialmente, a
questi problemi il trattamento del materiale impressionato
dovrebbe essere differenziato a secondo delle condizioni in cui
si è operato.
Fotografie riprese al sole sulla spiaggia, sui campi di neve o comunque con cielo sereno risulterebbero molto contrastate (ombre assolute e luci abbaglianti) , foto scattate in giorni di nebbia, cielo coperto o interni di case risulterebbero invece grigiastre e senza rilievo. Ciò che noi dobbiamo ottenere è un effetto che vada nel senso contrario, introducendo un errore opposto che serva da correzione. È anche vero che sullo stesso rullino potrebbero esserci foto fatte con il flash e panorami ripresi alla sera (rispettivamente alto e basso contrasto). In questo caso un trattamento standard scontenterà un poco tutti ma si potrà vedere qualche cosa lo stesso, anche se la fedeltà dei toni andrà a farsi benedire.
I laboratori industriali
usano appunto trattamenti che forniscono risultati intermedi in
modo che pellicole di marche e sensibilità diverse possano
essere sviluppate contemporaneamente in un solo tipo di
rivelatore e con un unico tempo di trattamento.
I vari manuali e gli
articoli di tecnica ci informano che un negativo contrastato si
stampa su carta morbida, un negativo medio su carta normale, un
negativo morbido su carta contrastata. Immancabile tabella di
riproduzioni dimostra visivamente ciascuna combinazione.
Comprendere questo meccanismo è facile e intuitivo, non
altrettanto semplice ne risulta poi l'applicazione. A volte
accade che un fotogramma molto "carico" non sia
effettivamente contrastato, mentre un negativo quasi trasparente
può non essere affatto morbido.
L'esperienza è in questi
casi un'ottima consigliera ma cerchiamo divedere come è
possibile supplire altrimenti. Il numero dei trucchetti che è
possibile mettere in atto è veramente grande, ognuno adopera il
sistema che trova più congeniale e i risultati possono
dimostrarsi alla fine equivalenti.
Qui si propone una
procedura non rapidissima ma che consente di raggiungere
conclusioni certe ed efficaci. Innanzi tutto dobbiamo imparare a
conoscere che cosa può darci la carta che stiamo usando
combinata al rivelatore prescelto.
Esporremo per una decina di
secondi un pezzetto di foglio sensibile sotto al cono di luce
proiettato dall'ingranditore proteggendone una metà;
portanegativi vuoto, obiettivo tutto aperto. Questo provino ci
dirà quale nero e quale bianco dobbiamo essere in grado dal
materiale che stiamo usando. Questo primo passo potrebbe sembrare
superfluo ma molti fotografi, giocando su arbitrarie riduzioni
dei tempi di esposizione e di sviluppo, riescono a controllare
densità e contrasto senza rendersi conto di quello che perdono
come scala tonale e intensità dei neri.
Ora possiamo realizzare il
primo provino da negativo esponendo un foglio per strisce
successive (ricordiamoci di chiudere di un paio di scatti il
diaframma dell'obiettivo). È necessario scoprire un pezzo per
volta la carta sensibile ottenendo settori che hanno ricevuto,
per esempio, 3 - 6 - 9 - 12 - 15 secondi.
Sviluppare per il tempo
prescritto (o fino a quando vediamo che "più scuro di così
non diventa"), fissare, lavare, asciugare. Bisogna frenare
l'impazienza, la valutazione dell'immagine quando questa è
ancora immersa nella bacinella di fissaggio, può condurre ad
errori non trascurabili. Dopo il lavaggio e l'asciugatura ci si
rende conto che la stampa appare leggermente più densa e morbida
di quanto poteva in un primo tempo sembrare.
Questa breve perdita di tempo è poi piccola cosa se usiamo carte politenate. Tra i vari settori del provino ne osserveremo uno che pare meglio degli altri. Se la strisciolina che ci interessa è la terza, ricordiamoci che in camera oscura tre secondi più tre più altri tre quasi mai fanno nove, più spesso otto, certe volte anche sette e mezzo. Un'esposizione continua impressiona infatti la carta più di quanto facciano una serie di brevi illuminazioni di pari tempo complessivo; tale effetto varia a seconda del tipo di carta sensibile e deve essere valutato ad esperienza.
L'elemento su cui dobbiamo
ora fissare l'attenzione è l'intensità del nero.
La parte di provino meglio riuscita non è necessariamente quella che deve essere considerata. Il settore che ci pare correttamente esposto possiede, nei punti di ombra massima, la stessa intensità di nero del provino bianco/nero assoluto che abbiamo precedentemente ottenuto?
Per valutarlo correttamente
non dobbiamo far altro che accostarlo al foglietto del nostro
primo esperimento. Se la risposta è sì, rifacciamo ancora un
provino intero con il tempo che ci pare corretto.
Non lanciamoci ancora in un
ingrandimento definitivo perché la carta costa cara ed è meglio
sprecare un ritaglio che un 30X40. Se invece il settore in
questione presenta un nero meno saturo di quello che sappiamo
possibile ottenere, significa che questa condizione si
verificherà in uno dei settori che hanno ricevuto più luce
(ripetere il provino con intervalli maggiori di tempo se
necessario); eseguiremo un nuovo provino con il tempo
corrispondente a tale settore, qualsiasi sia stata la resa nei
bianchi (che potrebbero risultare ancora molto sporchi e
grigiastri).
In entrambe i casi abbiamo ora in mano un prodotto che mostra una porzione sufficientemente ampia della stampa finale, è così possibile un'adeguata valutazione. Ci siamo regolati in modo tale da ottenere comunque il nero saturo che è corretto pretendere dal materiale che stiamo impiegando; quello che ci interessa a questo punto sono i bianchi.
Rimangono tre alternative: i particolari più illuminati sono ben dettagliati; gli stessi appaiono sporchi e grigiastri; ancora questi sono assolutamente assenti, cioè "bruciati".
Nel primo caso, se anche le luci massime sono pure, siamo pronti per la stampa definitiva, salvo lievi aggiustamenti di densità (esposizione) derivanti da valutazioni soggettive ; nel secondo è necessario ripetere il provino a strisce utilizzando una carta più dura (numero più alto) ; nel terzo faremo altrettanto con una carta più morbida. Cambiando gradazione è meglio rifare il provino nero/bianco assoluto, dato che la qualità del nero non è identica per tutte le carte della gamma.
Ricordatevi anche di non
esagerare con il tempo di fissaggio; non è vero che si può
abbondare eccessivamente, la prolungata permanenza dei fogli in
questo bagno provoca lo schiarimento dei dettagli più leggeri.
Il metodo precedentemente descritto, laborioso come spiegazione, è in realtà veramente pratico per tutti coloro che non sono in grado di capire immediatamente quale gradazione di carta deve essere impiegata. In definitiva si tratta di consumare due o tre provini in più del classico sistema "a tentoni" (più rapido ed economico solo per chi è già molto allenato).
Tempo e denaro vengono effettivamente risparmiati, considerando gli errori evitati, anche se apparentemente è necessario qualche sperimento in più. Anche in camera oscura la pazienza è la virtù dei forti. Per evitare di dover acquistare molta carta può essere utile tenere buste di tre diverse gradazioni di contrasto (dura, media, morbida) di dimensioni piuttosto grosse in modo che i fogli di volta in volta necessari possano essere ricavati tagliando a metà o a tre quarti quelli di cui si dispone.
Un altro sistema è quello
di impiegare carta a contrasto variabile (tipo multigrade) ; in
questo caso basta acquistare una sola busta di carta perché
appositi filtri da inserire nel cassetto portafiltri
dell'ingranditore consentono di cambiare la qualità della luce
che arriva sulla carta; essa, avendo una risposta diversa ad ogni
dominante di colore, fornisce risultati equivalenti all'impiego
di carte di diverso contrasto, anche se la resa qualitativa non
sempre giunge agli stessi livelli delle carte tradizionali.
La scelta della carta da stampa costituisce un importante elemento espressivo. La fotografia è infatti anche un vero oggetto, come lo è una scultura o un dipinto. La forma ha quindi una sua rilevanza; il suo valore, in relazione alla sostanza, costituisce un fatto sempre discutibile ma comunque importante.
Alcuni sostengono che ogni soggetto richiede il suo particolare tipo di supporto. Naturalmente ciascuno è libero di decidere come crede, tuttavia penso che il materiale impiegato costituisca una delle specificità che consentono ad un autore di caratterizzarsi esprimendosi in modo individualmente riconoscibile.
In questo discorso rientra quindi anche la presentazione globalmente intesa, il montaggio e la finitura. Il problema è quindi trovare con una serie di esperimenti il tipo di supporto che maggiormente si addice alla specifica comunicazione che vogliamo mettere in atto. Non è sempre detto che un dolce ritratto femminile vada stampato su carta di tipo "matt", mentre un aggressiva politenata lucida, dalle luci freddissime, vada bene per la foto di un'automobile sportiva. Con questo ho accennato a due possibili scelte nel campo dell'aspetto della superficie. Già qui, sebbene le possibilità siano meno estese di una ventina d'anni fa - quando erano commercialmente diffuse anche carte "camoscio", "seta", "perla"... mentre ora si trova a fatica anche una "millepunti" - ci si può ancora sbizzarrire. Esistono poi rivelatori a tono caldo, neutro, freddo.
Le diverse ditte producono materiali che a parità di gradazione ufficiale (il grado di contrasto che viene indicato da un numero) forniscono una resa diversa in termini di modulazione dei toni ed intensità dei neri, per non parlare di purezza dei bianchi. In conclusione tutto si riconduce ad una decisione veramente personale che presuppone l'aver visto e toccato tante stampe e discusso con il loro autore.
Va bene! Ma se, alla fine, un povero cristo vuole cominciare con un cavolo di carta che gli permetta di capire almeno se c'è gusto a chiudersi al buio per ore... cosa comincia ad usare?
Semplice, la carta più
economica che trova, specialmente quella che è ragionevolmente
sicuro ritenere abbastanza "fresca". La carta sensibile
migliore del mondo, se resta due anni sulla scansia del
negoziante, renderà peggio della più scadente.
Stampa in B/N dei
negativi colore
Stampare su carta in bianco/nero le negative colore richiede comunque qualche sacrificio sulla qualità. I negativi colore hanno infatti una struttura a più strati, i granelli di argento metallico appartenenti a ciascuno di essi risultano in proiezione anche parzialmente sovrapposti producendo un effetto grana molto più accentuato di quello che si rileva in un materiale B/N di equivalente sensibilità. Il problema maggiore è però costituito proprio dal colore.
La carte da stampa non sono sensibili in egual misura a tutti i colori, per alcuni di essi risultano addirittura inattiniche. La risposta in contrasto varia a secondo del colore. L'intonazione generale del negativo, generata dalla mascheratura di saturazione rosso-arancione, lascia passare proprio la qualità di luce a cui la carta risulta meno sensibile. Questo si traduce in esposizioni piuttosto lunghe.
La stampa con carte
tradizionali è quindi destinata a generare qualche alterazione
nei toni dell'immagine: i blu risulteranno troppo chiari, mentre
i rossi saranno tropo scuri. Un viso femminile truccato mostrerà
quindi occhiaie quasi bianche e labbra nere. Queste carte non
sono quindi molto adatte alla stampa e vanno bene solo se si
desidera una documentazione fotografica sommaria. Per ottenere
risultati più fedeli bisognerebbe usare un materiale studiato
apposta, che comunque è sempre frutto di compromessi tecnici. È
il caso di farne il nome, dato che non esiste in commercio alcun
prodotto equivalente. Si tratta della carta KODAK PANALURE,
disponibile (almeno fino a qualche tempo fa) in due tipi di
finitura superficiale: PORTRAIT a superficie lucida e grana fine;
Tipo F con superficie bianca lucida. Dato che queste carte devono
risultare sensibili a tutto lo spettro luminoso (rosso compreso),
sono materiali pancromatici e vanno quindi trattate in oscurità
completa o almeno con la luce di sicurezza per le carte colore. I
chimici di trattamento possono essere quelli abituali anche se,
come al solito, è raccomandato l'uso dei prodotti della stessa
ditta.
Qualche domanda e
risposta...
Vorrei sapere se con lo stesso ingranditore posso stampare negativi 24*36 e 6*6 , si può cambiare la misura del portanegativi?
Sì, solo con gli
ingranditori che prevedono l'impiego di condensatori diversi,
calcolati per i vari formati. Il condensatore è un semplice
elemento ottico che si occupa principalmente di distribuire
uniformemente la luce intero formato con raggi che abbiano un
percorso parallelo. In ogni caso è sempre possibile stampare con
ingranditori con portanegativi e condensatori predisposti per
formati superiori a quello che si desidera stampare.
Si cosigliano tipi particolari di rivelatori o fissaggi?
Usa quello che ti pare (e
che trovi più facilmente e fresco), l'importante è che tu
impari a conoscerlo bene (come avviene per le pellicole).
E' necessario il bagno d'arresto tra rivelatore e fissaggio?
Puoi fare tranquillamente
senza, a meno che tu tratti grandi quantità di materiale e
voglia conservare a lungo efficacia del fissaggio.
Che materiale devo usare per fare le "maschere" e come si eseguono?
Puoi usare qualsiasi
materiale opaco di tua comodità e gradimento. Ottimi sono il
cartone e le mani. La maschera è, in pratica, un buco (aggiunge
luce = + nero) o un pezzo di materiale opaco per ombreggiare
(toglie luce = + chiaro). La mascheratura si esegue durante
l'esposizione della carta sensibile e per una frazione di questo
tempo (in proporzione dell'effetto che si vuole ottenere).
Gabriele Chiesa