© 2000 by Gabriele Chiesa

In altre pagine di questo sito si trovano documenti che si occupano di analizzare alcune delle relazioni psicologiche che la fotografia implica e delle attese che in essa soddisfacevano i produttori e i fruitori delle immagini. Qui vediamo qualche breve cenno sulle tecniche che, in un modo o nell'altro, hanno contribuito allo sviluppo di quel consumo che ci porta ora a parlare di civiltà dell'immagine.

La conoscenza della storia della fotografia e degli strumenti che questa ha sfruttato sono infatti indispensabili per comprendere la portata e la qualità delle scelte che intorno ad essa si sono effettuate, oltre che il senso degli impieghi sociali che hanno favorito la sua rapida diffusione.

Dare un nome all'inventore della fotografia è un poco come tentare di stabilire chi ha scoperto l'America: gli egiziani? I fenici? Erik il Rosso? Ogni nuova ipotesi non muta però il riconoscimento comune a Cristoforo Colombo che, pur essendo giunto in quel continente sicuramente dopo molti altri, ha comunque avuto il merito di dare il via ad un nuovo capitolo della storia diffondendo la conoscenza della sua esistenza.

Forse lo stesso si può dire per la fotografia: essa è, in un certo qual modo, sempre esistita. La luce ha da sempre lasciato segni sui materiali fotosensibili naturali (le foglie, la pelle umana...). Molti sono coloro che si sono occupati di questi fenomeni, ma Daguerre è l'uomo che nell'opinione dei più continua ad essere (vedremo quanto discutibilmente) l'inventore della ripresa "fotografica".

Già nel 1802, Thomas Wedgwood aveva studiato l'annerimento del nitrato d'argento esposto alla luce, ed era riuscito a produrre immagini di oggetti opachi su carta sensibilizzata con sali d'argento (disegni fotogenici); immagini purtroppo instabili, dato che qualsiasi illuminazione le faceva svanire.

Quanto alla camera oscura, uno strumento in grado di proiettare su di uno schermo immagini capovolte, se ne conosce una descrizione dell'arabo Al-Kindi del IX secolo, un disegno dell'immancabile Leonardo da Vinci, e molte altre rappresentazioni nei secoli successivi. Essa venne comunque frequentemente usata dai pittori, a partire dal '600, per studiare la prospettiva dei panorami. All'inizio dell' Ottocento, un litografo amatore, Nicèphore Nièpce, aveva cercato di ottenere una matrice da stampa utilizzando l'azione della luce sul bitume di Giudea; del suo lavoro ci rimangono solo alcune "eliografie" (come le aveva chiamate) databili dal 1826 in avanti. La più antica di queste lastre è la famosa veduta dalla finestra della sua casa di Le Gras, dove confusamente si intravedono i tetti delle costruzioni circostanti.

Nièpce comunque si illuse di avere inventato un procedimento di fabbricazione di matrici sfruttando l'azione della natura stessa; in realtà, non gli fu mai possibile ottenere immagini leggibili, e nessuno dopo di lui fu in grado di ricavare qualche risultato in questo senso dal bitume di Giudea. Egli seppe, in ogni caso, farsi buona pubblicità, tanto da convincere i contemporanei del fatto che il suo sistema, mantenuto ovviamente segreto, funzionasse.

Un giovane e intraprendente parigino di nome Louis Jacques Mandé Daguerre, pittore scenografo ed inventore di trucchi ottici teatrali, si interessò alle ricerche e nel 1829 si associò con Nièpce: egli aveva vagamente l'idea di usare lo ioduro d'argento (di cui già si conoscevano le caratteristiche) come sostanza sensibile. La collaborazione tra i due non produsse alcun risultato pratico, anche perché l'unione era nata nella speranza reciproca di conoscere segreti che ne l'uno ne l'altro aveva In realtà svelato.

Daguerre, comunque, lavorando per conto suo, riesce ad ottenere delle buone riprese attorno al 1837, sensibilizzando una lastra di rame argentato ai vapori di iodio. L'immagine veniva sviluppata con vapori di mercurio e stabilizzata con acqua salata calda. Si ricavava in questo modo una superficie argentea in corrispondenza delle zone scure del soggetto e più opaca in quelle chiare; osservando riflesso un panno nero, o comunque guardando la lastra in un ambiente in penombra, compariva un'immagine positiva con i lati invertiti.

Iniziava così con la dagherrotipia l'epoca della rappresentazione ottico-chimica.

© 2000 by Gabriele Chiesa

Approfondimenti nel capitolo "Le origini della fotografia" del libro
Dagherrotipia, Ambrotipia, Ferrotipia. Positivi unici e processi antichi nel ritratto fotografico