Un'immagine vale più di mille parole solo se sai leggere.
Alle volte non basta nemmeno leggere perché devi anche conoscere per poter capire.

Ogni fotografia è un silenzio da ascoltare, ma le immagini raccontano solo ciò che mostrano e che ciascuno di noi riesce a vedere. Se mancano le chiavi lo scrigno resta chiuso.

Le parole possono essere bugiarde quanto le immagini, ma non possiamo farne a meno.
Senza le parole sarebbero incomprensibili tanti premi World press photo e persino gli album di famiglia resterebbero vuoti di storie anche quando fossero pieni di fotografie.

Una vecchia fotografia di tre ragazzi al tavolino di un bar resta muta.
Le cose cambiano se sul dorso troviamo scritto “Varese, giugno 1940. Io con Giuseppe (a sinistra) e Rodolfo (a destra) al bar Cavour. Giuseppe morì a Mauthausen nel 1945, Rodolfo morì nello stesso anno combattendo da partigiano con la brigata Raimondi.”

Dovremmo imparare a storicizzare le fotografie. Oggi diventa difficilissimo documentare le foto digitali. Bisognerebbe imparare a compilare i campi dei dati exif del file… ma chi lo fa?

Così mi è venuta la voglia di aggiungere con le parole il mio pezzetto di storia ad una foto che non smette di lasciarci stupiti. “Ragazza afgana” è una celebre fotografia scattata da Steve McCurry nel 1984. Divenne famosissima quando fu pubblicata sulla copertina della rivista National Geographic Magazine del numero di giugno 1985.
Quest’immagine funziona essenzialmente grazie all’intensità degli incredibili occhi verde-ghiaccio di una ragazzina di 12 anni fotografata nella scuola del campo profughi di Peshawar.

Ecco: io credo di sapere perché i suoi occhi hanno il colore dello smeraldo.
Anche le mie parole nascono da una storia di scuola, nata in una parrocchia di frontiera che accoglie bambine e bambini di tutti i colori, lingue e religioni per fare un po’ di doposcuola.
Dai piccini che frequentano il doposcuola al Centro Pastorale di Santa Maria in Silva di Brescia, quasi tutti figli di immigrati, tanti musulmani,  mi sono sentito chiedere «Cosa è un Oratorio?» Provo a spiegare che è un po’ come dire "casa dei fratelli".
«Ma allora anche per voi [Cristiani] gli uomini sono tutti fratelli?»
Sì, Asya: hai appena scoperto che "anche noi" celebriamo il Sacrificio di Abramo.
Alle volte i più piccoli vengono al doposcuola anche nel giorno “sbagliato” cioè al giovedì, quando le aule sono occupate per il Catechismo.
«Cosa è un Catechismo?» I bimbi vogliono ascoltare, capire, sapere.
Una volta mi hanno chiesto ragione della frase evangelica "Sforzatevi di entrare per la porta stretta" sentita a scuola.
«Ma tu che sei mussulmana fai Religione a scuola?»
«No, ma volevo ascoltare.»
Così poi hanno voluto sapere cosa è una parabola.
La scuola non ammette, per sua natura, muri e paletti.
Invece tra “i grandi”, nel senso di individui fisicamente cresciuti, c’è chi vorrebbe “rimandarli a casa loro”.
Ma chi realmente è a casa sua?

Noi Celti, Goti, Longobardi, Romani, Macedoni, Barbari del passato, Italiani d'oggi: la nostra identità sta nella parola MIGRANTE.

Tante bambine del doposcuola, figlie di migranti, portano le trecce proprio come le donne longobarde. I Longobardi giunsero come migranti illegali, con la forza delle armi, nella regione che prende nome dal loro popolo (Lombardia).

La ragazza afgana fotografata da Steve McCurry ha gli occhi così chiari perché il suo DNA viene da lontano.
Raramente e per stranezza apparentemente stupefacente, gli occhi di alcune bambine e bambini del Punjab possono essere incredibilmente chiari, persino azzurri o verdi.
A una bambina pachistana con occhi che brillano come stupende gemme smeraldo ho chiesto da dove veniva la sua famiglia.
Non mi ha risposto usando il nome attuale della città: Jhelum, città del Punjab, provincia del Pakistan.
Mi ha risposto invece dicendomi il nome antico della sua città: “Alessandria Bucefala.”

Alessandria Bucefala? Sì. Proprio così.
Queste due parole così consuete per la cultura occidentale sono state per me un lampo di luce.

Alessandro Magno, il grande condottiero greco, era molto legato al suo cavallo di nome Bucefalo. Quando il fedele animale cadde nella battaglia dell'Idaspe contro il re indiano Poro, Alessandro Magno decise di dedicargli una città. In ogni più lontana regione da lui conquistata volle lasciare presidi greci, per ottenere la fusione dei popoli e delle culture.
I greci non erano “Greci e basta” perché gli Elleni (Hellas… vi dice qualcosa ?) non erano autoctoni, ma venivano dal Nord: erano biondi e con gli occhi chiari.
Omero canta il prode biondo Menelao e celebra le gesta di guerrieri dagli occhi cerulei.

Gli occhi verde-ghiaccio fotografati da MCCurry hanno attraversato la storia.
Erano gli occhi chiari degli opliti macedoni dalle lunghe lance, occhi dei generali compagni d’arme di Alessandro il Grande.
Ed ancor prima, migliaia di anni prima, un popolo dai capelli biondi, che tesseva panni dalle coloratissime fitte righe incrociate, venne dall’Asia fino all’Europa. I tartan scozzesi restano  una traccia di quella lontana storia di migrazione.

Siamo tutti figli di una tormentata storia di migrazioni.
Il sangue degli uomini e delle donne si è mescolato milioni di volte. Sempre rosso.
Il mio sangue, ereditato da genitori padani, ha certamente un DNA che raccoglie impronte di antiche migrazioni. Forse è per questo che capita di sentirmi fratello di chi arriva da lontano ed estraneo al vicino di casa.

Gli occhi della ragazza afgana fotografata da McCurry sono i nostri occhi.

Gabriele Chiesa

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