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La coppia
tempo/diaframma

© 2000 by Gabriele Chiesa

Nella fotografia entrano in gioco decisioni che riguardano il settore meccanico e ottico (strumenti di ripresa) e il settore chimico-fisico (materiali sensibili).

Un buon risultato, oltre alla padronanza del linguaggio, dipende in larga misura da scelte e accoppiamenti corretti in questi due campi. La corretta esposizione è il primo obiettivo su cui puntare. Una pellicola ben esposta equivale, in un certo senso, a una torta ben cotta.

Un'immagine troppo chiara o troppo scura rispetto all'illuminazione reale è spiacevole e inefficace come una torta cruda o bruciacchiata. Per portare un dolce al punto giusto possiamo, entro certi limiti, tenere la teglia in forno per un tempo piuttosto lungo a una temperatura moderata, oppure alzare la temperatura ed abbreviare il tempo di cottura. Ci sarà perciò tutta una serie di accoppiamenti tempo-temperatura che ci consentiranno di raggiungere risultati identici. Tra i componenti di uova, burro, farina, latte ecc. avvengono reazioni chimiche allo stesso modo in cui la luce produce alterazioni sugli alogenuri dispersi nella gelatina stesa su di una pellicola fotografica. Se queste alterazioni sono eccessive diremo appunto che la pellicola è bruciata. Invece di dire "crudo" parleremo di sottoesposizione.

Dato che l'immagine si forma sulla pellicola grazie alla luce, invece che per azione del calore, i parametri da tenere sotto controllo non saranno temperatura e tempo, ma piuttosto quantità di luce (che si regola con un dispositivo chiamato diaframma) e tempo ( regolato dall'otturatore). Valori numerici diversi, espressi da questi due congegni, ci consentiranno, a parità di condizioni di ripresa, di scegliere accoppiamenti diversi che ci permetteranno di ottenere risultati comunque corretti come esposizione.

La scelta di un particolare valore di diaframma e del relativo tempo di otturazione avranno, come vedremo, conseguenze espressive. L'occhio umano non è dotato di otturatore, dato che la luce va ad agire con continuità sulla retina, ma possiede di una sorta di diaframma: si tratta della pupilla... Fotograficamente parlando, questa è un diaframma automatico: infatti si stringe quando siamo abbagliati da una luce forte e si allarga quando il livello di illuminazione è basso. In un obiettivo, questo forellino ad apertura variabile svolge lo stesso ruolo. In linea di massima deve restare più aperto se la luce scarseggia e deve essere progressivamente chiuso quando invece la luce abbonda. Un risultato identico, ossia rivolto a fare giungere un adatto quantitativo di luce sulla pellicola può essere raggiunto permettendo ai raggi di agire per un tempo più o meno lungo.

Si sceglierà di ridurre l'esposizione chiudendo il diaframma o impiegando un tempo di otturazione più corto o di aumentarla agendo inversamente, subordinando la decisione a considerazioni che saranno svolte in seguito. Per adesso accontentiamoci di chiarire che tempo e diaframma sono i due fattori essenziali su cui gioca l'esposizione e quindi la corretta leggibilità dell'immagine. I diaframmi vengono identificati con un numero 1/f disposto secondo la seguente scala:

1 1.4 2 2.8 4 5.6 8 11 16 22 32 45 64

Attenzione!

Al numero più piccolo corrisponde un'apertura maggiore (passa più luce), al numero più grande (o se volete, al meno piccolo) corrisponde un diaframma più chiuso (passa meno luce). Quasi nessun obiettivo agisce coprendo tutti i valori indicati. 32, 45, 64 sono presenti solo sulle fotocamere professionali (quelle a lastre) e su certi obiettivi per usi speciali (riprese estremamente ravvicinate). Da quello che si è detto i numeri più piccoli caratterizzano obiettivi più luminosi. In realtà tale caratteristica è raramente sfruttabile in modo efficace perché operare alle massime aperture (tra 1 e 2) pone seri problemi di messa a fuoco (ossia di nitidezza generale dell'immagine).

Un buon obbiettivo standard, quello cioè normalmente venduto con la fotocamera, possiede valori di diaframma compresi tra due e sedici. Se l'escursione è maggiore tanto meglio, sempre che un numerino o due in più che non useremo praticamente mai, non ci costi troppo. Il foro del diaframma (lo possiamo osservare con più comodità tenendo aperto l'otturatore) influisce sull'incisione (dettaglio, nitidezza ) della immagine. Più è frastagliato e peggio è, più assomiglia a un cerchio regolare, migliori sono i risultati ottenuti (sempre che la costruzione ottica vera e proprio sia all'altezza ). Tutti gli obiettivi seri, ruotando su sé stessi o con altri sistemi , variano la posizione reciproca tra le lenti e il piano su cui giace la pellicola; questi spostamenti consentono di mettere "a fuoco" soggetti posti a diverse distanze della fotocamera. Gli obiettivi hanno infatti la caratteristica (è una legge ottica da cui non è possibile sfuggire ) di mostrare nitidamente ciò che si trova ad una ben determinata distanza dal punto di ripresa, il resto risulterà più confuso.

La norma vuole perciò che noi regoliamo su di un apposito indice della macchina fotografica, la distanza messa a fuoco; la misura cioè, abitualmente espressa in metri, che si separa dal soggetto che ci interessa risulti poi opportunamente dettagliato nell'immagine. La definizione apparente andrà sfumando man mano al di là o al di qua del piano a fuoco. L'occhio, a secondo dell'ingrandimento dell'immagine, considera a fuoco anche elementi che non lo sarebbero perfettamente dal punto di vista strettamente ottico (circolo di confusione). Tale effetto è aumentato progressivamente dalla chiusura del diaframma. Un diaframma più chiuso fa apparire a fuoco ciò che si trova in una fascia di distanze relativamente estesa, aumenta cioè la profondità di campo.

Teniamo presente che, a parità di diaframma impiegato, la profondità di campo è maggiore se il punto messo a fuoco è più lontano e viceversa. Con un obiettivo standard usato a f/8, un soggetto messo a fuoco a 10 metri gode di una profondità di campo che si estende approssimativamente da 5 metri all'infinito. Nelle stesse condizioni, la profondità di campo per un soggetto posto ad un metro è di pochi centimetri.

L'otturatore è quel dispositivo che regola il tempo durante il quale la luce agisce sulla pellicola. Esistono sostanzialmente di due tipi: centrale e a tendina. Il primo è montato dall'interno dell'obbiettivo ed è costruito con una serie di lamelle che, scorrendo le une sulle altre, si aprono e si chiudono istantaneamente per consentire il passaggio della luce; in questo caso tutti i punti della pellicola vengono impressionati nello stesso istante per una durata indicata, ciò permette di sincronizzare lo scatto, a qualsiasi velocità, con il lampo elettronico, che dura poche frazioni di secondo.

L'otturatore a tendina è invece costituito da due piccoli sipari avvolti su di un rocchetto e che al momento dello scatto si svolgono rapidamente; il primo, che all'inizio impedisce il passaggio della luce, scopre l'apertura che è poi subito richiusa dal secondo. Se il tempo di scatto è breve, la seconda tendina avrà solo un piccolo ritardo rispetto alla prima e la seguirà molto da vicino.

Tra le due rimarrà perciò solo una fessura che scorre impressionando la pellicola per fasce successive. Dato che il lampo dura pochi istanti, può accadere che con tempo di scatto breve, solo una parte di pellicola riceva sufficientemente illuminazione. L'immagine apparirà perciò ridotta ad una striscia più o meno larga, una porzione più o meno limitata di quello che avevamo inquadrato. Le macchine con otturatore centrale posseggono perciò qualche vantaggio nel caso di un frequente uso, anche in esterni, del flash (cerimonie, attualità, reportage); dato che però l'otturatore fa parte dell'obiettivo, spesso i costi degli obiettivi intercambiabili sono veramente molto elevati.

In alcuni casi l'obiettivo con otturatore centrale è fisso e non può essere sostituito. Il dispositivo a tendina, meccanicamente più complesso e delicato, si trova invece nel corpo della fotocamera e viene perciò pagato una sola volta qualsiasi sia il numero degli obiettivi acquistati in seguito, se si eccettua il fatto che esso obbliga ad utilizzare il flash con tempi comunque più lunghi di 1/60 o 1/125 (dipende dal tipo di macchina), non presenta particolari limitazioni ed è quindi di utilizzo universale. La scala dei tempi disponibili per lo scatto è generalmente la seguente (frazioni di secondo):

1 - 1/4 - 1/8 - 1/15 - 1/30 - 1/60 - 1/125 - 1/250 - 1/500 - 1/1000 - 1/2000

Eccezionalmente alcuni otturatori arrivano al duemillesimo e al quattromillesimo (comunque di scarsa utilità). Alcune macchine elettroniche consentono la regolazione con tempi superiori al secondo, ma la tolleranza sui tempi lunghi consente eguali risultati con il controllo manuale, effettuato usando un cavetto flessibile. Importante è anche la posa "B", in questa posizione l'otturatore rimane aperto per tutto il tempo che il pulsante di scatto viene mantenuto schiacciato. Per evitare di tenere il dito sulla fotocamera, una vitina sul cavetto flessibile delle macchine meccaniche può bloccare l'apertura dell'otturatore. Abbiamo detto che una giusta esposizione deriva da un corretto abbinamento di due valori: diaframma e tempo. Tra i numerosissimi accoppiamenti possibili quali debbono essere scelti? Alcune macchine programmate elettronicamente prendono da sole decisioni mediamente accettabili.

Un risultato qualitativamente superiore è sempre ottenuto con l'esposimetro: questo è uno strumento in grado di misurare la luce e di suggerirci che diaframma e che tempo impiegare. Le fotocamere recenti di uso amatoriale incorporano tutte un'esposimetro. esso può consistere in due segnali da fare coincidere; in tre LED, due rossi per sotto e sovra esposizione, più uno verde che si accende quando tempo e diaframma sono correttamente regolati o altre soluzioni ancora.

In ogni caso non sarà mai un solo tempo con un determinato diaframma che ci permetterà di scattare una foto ben esposta, dato che si è detto che basta aprire di uno scatto (stop) il diaframma e ridurre di uno scatto (stop) il tempo, per ottenere lo stesso risultato.

Il "mosso" non interessa esclusivamente ciò che riprendiamo, anche la macchina si sposta durante lo scatto (a meno che non venga fissata su di un cavalletto), il difetto può diventare in questo caso ancora più fastidioso perché nessuna parte dell'immagine risulterà ben dettagliata. E' importante impugnare bene la fotocamera e tenersi saldamente appoggiati a terra , a mano libera è comunque sconsigliabile utilizzare tempi al di sotto del 1/30.

Come vedremo il tempo di scatto deve essere abbreviato impiegando focali lunghe (obiettivi tele) mentre i grandangoli sono più tolleranti.

Per quanto riguarda l'autoscatto diciamo che può rivelarsi utile anche se generalmente non è indispensabile. La misurazione dell'esposimetro può avvenire su tutto il campo inquadrato e allora si chiama media e anche integrata. Alcune macchine sono invece dotate di esposimetro che legge solamente la parte centrale del fotogramma (spot) o legge tutto il campo inquadrato dando la preferenza alla zona centrale (misurazione semi-spot).

Quando accade che si inquadra una buona porzione di cielo o punti di luce intensa entrano nella composizione, la misurazione viene falsata in modo rilevante. In questo caso occorre avvicinarsi al soggetto ed effettuare una misurazione molto localizzata. Se ciò non risulta possibile, basta misurare un soggetto illuminato in maniera analoga (misurazione sostitutiva). Se si fotografa un soggetto chiaro, risulta spesso conveniente sovraesporre, è bene sottoesporre per riprendere un soggetto scuro.

L'esposimetro ragiona sempre in modo da fare ottenere un grigio medio per qualsiasi soggetto abbia davanti. Un campo di neve sarà per lui sbagliato e farà in modo di scurirlo, mentre tenterà di schiarire un mobile d'ebano. Le correzioni vanno apportate in termini di STOP, ossia scatti per aprire il diaframma o chiuderlo, oppure scatti per raddoppiare o dimezzare il tempo dio ripresa. Tra un valore e l'altro dei diaframmi o dei tempi, ogni STOP equivale al dimezzamento o raddoppio della quantità di luce che viene fatta giungere sulla pellicola. Il materiale negativo consente di commettere errori anche di due o tre stop in sovra o sottoesposizione, per il materiale invertibile un errore di uno stop è già evidente.

Gabriele Chiesa





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