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I VECCHI
ARCHIVI
BRESCIANI

© 2000 by Gabriele Chiesa

A partire dalla metà dei 1800 inizia a lavorare in Brescia un pugno di fotografi destinato ad infoltirsi man mano che le innovazioni tecniche consentiranno un più facile accesso ai metodi di produzione delle immagini e l'espandersi del mercato richiederà il moltiplicarsi degli operatori. Tra gli studi più noti di fine Ottocento troviamo quelli di Rebughi & Candiani, G. Ogliari, A. Ogheri, G. Allegri, Trainini, G. Negri, Fiori, C. Capitanio, G. Bianchi, A. Baroni, G. Negri.

Quanto del lavoro di questi pionieri si è conservato fino a noi? Ben poco, bisogna dire. L'ultima guerra, direttamente o indirettamente e stata la causa della distruzione di gran parte degli archivi, I'ansia del nuovo e il desiderio di spazio hanno completato l'opera negli anni che vanno fino al '60 (invito chi fosse in grado di fornire notizie su materiali sopravvissuti a contattarmi). Esemplare, a questo proposito, è la fine delle lastre di Capitanio; giunte in mano al precedente proprietario di quella che oggi è la Fotografia Archetti, sono finite una per una nell'acido solforico in modo che il vetro, sciolta la gelatina, che registrava l'immagine, potesse servire per incorniciare e proteggere nuove fotografie. Un immenso patrimonio di documenti è andato così per sempre perduto.

L'unico archivio giunto integro ai nostri giorni rimane quello della famiglia Negri. Chi conosce il libro fotografico "II Garda nell'archivio fotografico Negri" può rendersi solo lontanamente conto dei tesori che in che in esso sono custoditi. Il materiale conservato ha un valore storico particolare per il fatto che Giovanni Negri si distingue nettamente dai colleghi operanti nella nostra provincia per il genere delle riprese; mentre la produzione degli altri fotografi è prevalentemente ritrattistica, egli ha un interesse vivissimo per ogni altro aspetto fotografabile. Il suo modo di operare è nella linea degli Alinari e degli Anderson: la macchina deve uscire dallo studio e rendere testimonianza della società, del paesaggio, della cultura. È con questo spirito che Negri comincia a girare per l'Italia, con qualche puntata all'estero, per produrre una vasta raccolta di vedute stereoscopiche.

Il mercato di queste immagini è essenzialmente rappresentato dai turisti che giungono in visita nel nostro Paese: è probabilmente questo uno dei motivi che favoriranno a trasferimento dello studio sul Garda, posizione più favorevole per incontrare una clientela di livello internazionale.

Negri accetta la sfida con i grossi fotografi di Firenze e Roma, già geograficamente favoriti, per contrastarli sul piano dell'immagine turistica, artistica e industriale. A cavallo dei due secoli si impegna in ambiziose campagne fotografiche superando le difficoltà materiali che l'operare in esterno, con le attrezzature pesanti e ingombranti allora necessarie, imponeva. L'attenzione costante a quanto accade fuori dalla porta dello studio porta Negri a registrare le testimonianze più vive dell'importante periodo storico in cui opera e raccoglie così una quantità enorme di materiale su Brescia, il Garda e l'intera provincia.

Quando Giovanni passa la mano, Umberto prima e suo genero in seguito, si trovano a disporre di un patrimonio eccezionale verso il quale dimostreranno un responsabile atteggiamento: rispetto per la mole di sacrificio che esso rappresenta, coraggio nella determinazione di conservarlo.

Chi ha idea del costo economico che rappresenta l'impegno di uno spazio considerevole di uno studio fotografico per conservare materiale improduttivo, si rende conto che solo una scelta precisa può sostenere tale decisione. Interesse privato? Difficile sostenerlo. Ogni immagine pubblicata può venir infatti riprodotta infischiandosi allegramente dei diritti d'autore. Ecco allora che si comprende, anche se non si giustifica, il comportamento di coloro che hanno in passato fatto piazza pulita di importanti raccolte cui nessuno era disposto a riconoscere valore economico ma che molti avrebbero utilizzato volentieri. È un discorso complesso, non riducibile a questo solo caso, (la raccolta Predali di Iseo è un altro esempio) non è possibile far ricadere sempre gli oneri sull'individuo per reclamare poi, quando convenga, l'immagine come patrimonio pubblico. Senza chiarire i rapporti che, nella fotografia, esistono tra l'aspetto di bene economico e bene culturale non sarà possibile conquistarla all'accesso pubblico.

Gabriele Chiesa

Su questo argomento si veda anche la sezione dedicata alla
storia della fotografia bresciana





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