Accanto alla dagherrotipia furono eseguite, partendo dal
1841 (brevetto della calotipia) e per una quindicina d'anni, riprese con
negativo su carta.
Tale tecnica è fondamentale dal punto di vista
storico perché segna I'inizio della fotografia intesa come possibilità
di moltiplicazione delle immagini da un 'unica matrice.
Dal punto di vista collezionistico questa radicale
innovazione rappresenta però un vero enigma. Costretti a considerare
solo la stampa finale, dato che il negativo è normalmente irreperibile,
non è per noi possibile riconoscere con ragionevole sicurezza il
metodo di ripresa. È perciò spesso impreciso parlare di calotipia,
quale che sia il positivo nelle nostre mani. È bene chiarire che
esistono sostanzialmente tre diverse tecniche con negativo su carta.
La prima è la calotipia propriamente detta, così denominata da Talbot che si riferì alle parole greche kalos, bello e typos, stampa. Talbot stesso apportò diverse modifiche alla preparazione di questo rudimentale negativo, a partire dalla spalmatura di cera per rendere più trasparente la matrice.
II procedimento di Blanquart Evrard, più complicato perché impiegava carta umida, ma capace di accorciare considerevolmente i tempi di esposizione.
II procedimento di Le Gray, che forniva un materiale poco sensibile ma più preciso nella riproduzione dei dettagli.
Gli originali di questi diversi sistemi non sono
tra loro molto diversi e, quel che più importa, non esistono possibilità
pratiche di appurarne I'autenticità. È perciò perfettamente
legittimo parlare di calotipia solo in due occasioni: quando I'originale
è allegato a documenti di accertata origine; quando il negativo
è accompagnato da una stampa positiva, montata in modo inalterabile
su un supporto contrassegnato (cartoncino con timbratura originale del
fotografo).
I metodi che impiegavano il negativo di carta furono applicati
con una certa parsimonia. II licenziatario di Daguerre a Londra, Antoine
Cludet, offriva ai suoi clienti ritratti calotipici e dagherrotipie ma
erano queste ultime ad essere abitualmente preferite per I'incisione, la
luminosità e la preziosità.
Le stampe da negativo su carta risultavano invece
più sgranate e indeterminate, per effetto delle fibre di cellulosa,
che risultavano riprodotte sull'immagine finale. Maggior successo ottenne
Henry Collen che effettuava però rilevanti ritocchi, tanto che in
realtà si può parlare di miniature sovrapposte alla fotografia.
Fatte perciò le debite eccezioni per pochi pionieri o pittori che
se ne servirono per scopi artistici, utilizzando proprio la caratteristica
scarsa definizione dell'immagine, la diffusione dei diversi metodi fu sempre
limitata, risultando presto soppiantata dal negativo su vetro.
Eppure alcuni
positivi d'epoca, in particolare quelli con data antecedente il 1860, possono
presentarsi con una granulosità fibrosa del disegno, portare I'impressione
di un autore che impiegò la talbotipia... Se eseguiti su carta salata
ma anche sulle prime carte albuminate, potrebbero effettivamente provenire
da negativi cartacei Tale ipotesi potrebbe essere avvalorata dal fatto
che i soggetti raffigurati presentano le palpebre abbassate e la pupilla
disegnata a mano, indice di posa molto prolungata, ma si tratterebbe solo
di supposizioni. La faciloneria nell'identificazione di riprese calotipiche
ha condotto, anche a livello di esperti, a prendere granchi di ragguardevoli
dimensioni.
In definitiva però, ciò che veramente conta, non è tanto la tecnica impiegata per la ripresa, quanto ciò di cui siamo effettivamente in possesso.
Lo studio andrà quindi condotto sul positivo
esistente valutandone gli aspetti estetici, le informazioni visive, I'origine
e la datazione. È quasi impossibile che la stampa montata sia un
bidone. I foglietti di carta che portano I'immagine venivano incollati
sul cartoncino impiegando adesivi di particolare tenacità ed inalterabilità;
qualsiasi tentativo, di distacco può essere portato a termine solo
danneggiando in modo irreversibile il supporto (I'azione prolungata del
vapore o dell'acqua dissolve i collanti che danno compattezza al cartone,
per cui esso finisce con lo sfaldarsi).
Non dimentichiamo che distruggere
il cartoncino significa praticamente dissolvere le prove dell'autenticità
della stampa e renderne problematica la datazione. È possibile falsificare
un'immagine su un foglietto all'albumina (ma bisogna essere già
artisti) più difficile diventa rifare il cartoncino, usando materie
prime identiche agli originali e copiando alla perfezione le sigle tipografiche
del fotografo e le eventuali impressioni a rilievo; a questo punto, anche
se per assurdo le stampe d'epoca fossero valutate decine di biglietti da
mille, sarebbe più remunerativo mettersi ad imitare direttamente
i biglietti di banca.
Gabriele Chiesa