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Negativo su carta
La calotipia

© 2000 by Gabriele Chiesa

Photographie Boulevard Béranger 6, 1861
Accanto alla dagherrotipia furono eseguite, partendo dal 1841 (brevetto della calotipia) e per una quindicina d'anni, riprese con negativo su carta.


Tale tecnica è fondamentale dal punto di vista storico perché segna I'inizio della fotografia intesa come possibilità di moltiplicazione delle immagini da un 'unica matrice.

Dal punto di vista collezionistico questa radicale innovazione rappresenta però un vero enigma. Costretti a considerare solo la stampa finale, dato che il negativo è normalmente irreperibile, non è per noi possibile riconoscere con ragionevole sicurezza il metodo di ripresa. È perciò spesso impreciso parlare di calotipia, quale che sia il positivo nelle nostre mani. È bene chiarire che esistono sostanzialmente tre diverse tecniche con negativo su carta.

La prima è la calotipia propriamente detta, così denominata da Talbot che si riferì alle parole greche kalos, bello e typos, stampa. Talbot stesso apportò diverse modifiche alla preparazione di questo rudimentale negativo, a partire dalla spalmatura di cera per rendere più trasparente la matrice.

II procedimento di Blanquart Evrard, più complicato perché impiegava carta umida, ma capace di accorciare considerevolmente i tempi di esposizione.

II procedimento di Le Gray, che forniva un materiale poco sensibile ma più preciso nella riproduzione dei dettagli.

Gli originali di questi diversi sistemi non sono tra loro molto diversi e, quel che più importa, non esistono possibilità pratiche di appurarne I'autenticità. È perciò perfettamente legittimo parlare di calotipia solo in due occasioni: quando I'originale è allegato a documenti di accertata origine; quando il negativo è accompagnato da una stampa positiva, montata in modo inalterabile su un supporto contrassegnato (cartoncino con timbratura originale del fotografo).

Alphonse Bernoud, Florence 1859 I metodi che impiegavano il negativo di carta furono applicati con una certa parsimonia. II licenziatario di Daguerre a Londra, Antoine Cludet, offriva ai suoi clienti ritratti calotipici e dagherrotipie ma erano queste ultime ad essere abitualmente preferite per I'incisione, la luminosità e la preziosità.

Le stampe da negativo su carta risultavano invece più sgranate e indeterminate, per effetto delle fibre di cellulosa, che risultavano riprodotte sull'immagine finale. Maggior successo ottenne Henry Collen che effettuava però rilevanti ritocchi, tanto che in realtà si può parlare di miniature sovrapposte alla fotografia. Fatte perciò le debite eccezioni per pochi pionieri o pittori che se ne servirono per scopi artistici, utilizzando proprio la caratteristica scarsa definizione dell'immagine, la diffusione dei diversi metodi fu sempre limitata, risultando presto soppiantata dal negativo su vetro.

Eppure alcuni positivi d'epoca, in particolare quelli con data antecedente il 1860, possono presentarsi con una granulosità fibrosa del disegno, portare I'impressione di un autore che impiegò la talbotipia... Se eseguiti su carta salata ma anche sulle prime carte albuminate, potrebbero effettivamente provenire da negativi cartacei Tale ipotesi potrebbe essere avvalorata dal fatto che i soggetti raffigurati presentano le palpebre abbassate e la pupilla disegnata a mano, indice di posa molto prolungata, ma si tratterebbe solo di supposizioni. La faciloneria nell'identificazione di riprese calotipiche ha condotto, anche a livello di esperti, a prendere granchi di ragguardevoli dimensioni.

In definitiva però, ciò che veramente conta, non è tanto la tecnica impiegata per la ripresa, quanto ciò di cui siamo effettivamente in possesso.

Lo studio andrà quindi condotto sul positivo esistente valutandone gli aspetti estetici, le informazioni visive, I'origine e la datazione. È quasi impossibile che la stampa montata sia un bidone. I foglietti di carta che portano I'immagine venivano incollati sul cartoncino impiegando adesivi di particolare tenacità ed inalterabilità; qualsiasi tentativo, di distacco può essere portato a termine solo danneggiando in modo irreversibile il supporto (I'azione prolungata del vapore o dell'acqua dissolve i collanti che danno compattezza al cartone, per cui esso finisce con lo sfaldarsi).

Auguste Meylan, Place Chateau 26, Turin Non dimentichiamo che distruggere il cartoncino significa praticamente dissolvere le prove dell'autenticità della stampa e renderne problematica la datazione. È possibile falsificare un'immagine su un foglietto all'albumina (ma bisogna essere già artisti) più difficile diventa rifare il cartoncino, usando materie prime identiche agli originali e copiando alla perfezione le sigle tipografiche del fotografo e le eventuali impressioni a rilievo; a questo punto, anche se per assurdo le stampe d'epoca fossero valutate decine di biglietti da mille, sarebbe più remunerativo mettersi ad imitare direttamente i biglietti di banca.

Gabriele Chiesa





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