Tentativi per ottenere la piena resa del colore in fotografia è sono stati perseguiti con impegno fino dai primi anni della dagherrotipia.
Contributi di conoscenza sono venuti da numerosi esperimenti svolti dai diversi ricercatori che non hanno mancato di raggiungere interessanti risultati ancora prima della fine dell'Ottocento.
Le diverse soluzioni proposte, fondate su vari principi fisici, chimici ed ottici, non trovarono però un'applicazione industriale fino a quando i Fratelli Lumiere (proprio i famosi fratelli inventori del cinema!) decisero di avviare la produzione industriale di un tipo di lastra fotosensibile in grado di registrare il colore.
Il sistema prevedeva la registrazione di tre colori fondamentali su particelle colorate con le corrispondenti tinte. Per ottenere questo risultato era necessario che il materiale fotosensibile rimanesse impressionato in modo selettivo utilizzano un'apposita filtratura in grado di separare i tre colori. La curiosa soluzione escogitata, utilizzava minutissimi granelli di fecola di patata e gli alogenuri d'argento già impiegati nella fotografia in bianco-nero.
La lastra, al termine del trattamento, era sostanzialmente quello che noi oggi consideriamo una diapositiva. L'immagine andava osservata per trasparenza e non esisteva la possibilità tecnica di trarne una stampa in colore su carta. La visione non era molto agevole, dal momento che il materiale aveva un'apparenza piuttosto scura e che occorreva una sorgente di luce ben equilibrata e distribuita in modo uniforme, in modo da poter leggere con precisione tutti i dettagli. Potremmo affermare che solo oggi disponiamo di tecnologie di visualizzazione delle lastre Lumiere in grado di valorizzarle completamente (visori per fotografia e scanner).
Le lastre vennero prodotte e commercializzate a partire dal 1907.
La loro sensibilità era piuttosto bassa, per cui si adattavano a riprese statiche, come panorami, architetture e riprese d'arte. Qui vediamo la riproduzione di un quadro.
L'ingrandimento di un dettaglio della lastra ci mostra la struttura costituita dai granelli di fecola di patata, colorati con i pigmenti dei tre colori fondamentali che erano destinati a rendere, in sintesi additiva (con l'azione cioè della somma delle luci colorate), le diverse tinte dell'originale.
Gabriele Chiesa