Con il termine di collezionismo si intende certamente
la raccolta e le classificazione di qualcosa, ma non tutti siamo concordi
sulla valutazione delle motivazioni che spingono a questa attività;
potrebbe trattarsi di hobby, di semplice snobismo, di speculazione. Ritroviamo
questi atteggiamenti anche nel settore della fotografia d'epoca ma qui
è possibile riconoscere un fenomeno curioso che altrove non si verifica;
gli addetti ai lavori si premurano infatti di dare il maggior risalto possibile
a due affermazioni: che è assurdo tentare di collezionare qualcosa
che è stato prodotto in quantitativo talmente elevato da conferirgli
lo stesso valore della raccolta dei tappi di acqua minerale; che è
possibile produrre facilmente falsi capaci di ingannare anche I'occhio
più esercitato.
Se la passione è troppo forte e ci si avventura egualmente in questo genere di discorsi, questa volta più sussurrati, che suonano più o meno: "fai quello che vuoi, ma parlane il meno possibile, perché qui si fanno affari solo fino a quando saremo in pochi ad occuparcene".
I veri Collezionisti con la «C» maiuscola, quelli che operano da almeno una decina d'anni questa paziente incetta di immagini, costituiscono infatti una sorta di mafia culturale cui non mi sembra saggio appartenere. La gelosia giova certamente al mantenimento di prezzi contenuti ma il collezionismo diventa sterile ed insensato qualora si esaurisca nel piacere egoistico del possesso.
Questa situazione ha comunque permesso ad un numero limitato di persone di accumulare, privatamente o sotto I'egida di Archivi e Fototeche varie, patrimoni fotografici rispettabilissimi che sono, in questo modo, scampati alla dispersione e spesso anche alla distruzione.
È ora però giunto il momento di rimettere in discussione i falsi miti che hanno ostacolato la diffusione di un genere collezionistico che presenta aspetti culturalmente rilevanti. Nessuno si sente più in grado di negare che attraverso queste immagini sia possibile leggere la storia, la sociologia, il costume, I'etnologia ed altro ancora; la coscienza però dell'insostituibile unicità del contributo che esse possono dare a queste scienze non è però ancora indiscutibilmente affermata.
L'enorme quantità di fotografie che sono state prodotte fin dai primi decenni e la presunta infinita riproducibilità delle stesse potrebbero far pensare che, per guanto vasta sia la distruzione che subiscono, saranno sempre disponibili in numero sovrabbondante. In realtà è proprio la banale diffusione che rende vili le immagini cartacee, tanto da condurre alla loro distruzione piu insensata.
Ci stiamo dimenticando che quando non esiste originale
da riprodurre quell'immagine è definitivamente persa.
Già ora son rare, per fare un esempio provocatorio,
le stampe degli anni '50. Le prime scampagnate in automobile con la "600",
le escursioni sciistiche con le risalite a legni in spalla e scarponi di
cuoio ai piedi, sono state riprese infinite volte; forse nei nostri cassetti
ce n'è restata ancor una, ma solo fino a quando il figlioletto la
prenderà per scarabocchiarla o incollarla su un quaderno di ricerche
scolastiche.
II negativo ? Chissà dove è finito.
Certo le fotografie dell'Ufficialità Pubblica con le inaugurazioni,
le manifestazioni e le conferenze non mancheranno ai nostri posteri ma
poche stampine su carta camoscio a bordo sfrangiato erediteranno il peso
di dover raccontare la semplice quotidianifà della storia.
Le fotografie qui presentate appartengono ad un album di fotoamatore sconosciuto, gli originali sono stampati a contatto in formato cm 6 x 9.
Le indicazioni quelle che sono state trovate scritte dietro gli originali.
Gabriele Chiesa