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Fotografi ambulanti

© 2000 by Gabriele Chiesa


Se il luogo dove la borghesia di fine Ottocento celebrava la sua ascesa era l'atelier del pittore fotografo, il contadino e l'operaio conquistavano nella piazza, per la prima volta, il diritto all'immagine privata.

Nelle fiere paesane la figura del fotografo ambulante si diffonde a partire dagli anni intorno al 1860 con il comparire di una tecnica chiamata ferrotipia. Questo procedimento consentiva di ottenere immagini di qualità piuttosto scadente su un supporto in lamina di ferro: il materiale veva per quel tempo un suo fascino, dato che con esso trionfava il progresso (siamo nei decenni in cui la rivoluzione industriale si afferma anche in Italia).

Una ventina di anni dopo che i ceti abbienti si sono appropriati del ritratto su lastrine di rame argentato ( dagherrotipia), le classi popolari iniziano cosl il loro approccio alla fotografia attraverso la ripresa su un materiale metallico che, almeno psicologicamente, fornisce alcune garanzie di durata.

Il trascorrere degli anni dimostrerà invece la delicatezza del supporto che si piega, si scrosta, si arrugginisce. Ciò nonostante la ferrotipia continuerà ad essere usata fino ai primi decenni di questo secolo raggiungendo una produzione valutabile intorno ai milioni di pezzi.

La fortuna di questa tecnica è legata ad una caratteristica che ancora oggi è apprezzata e ricercata nei moderni materiali tipo Polaroid: la velocità con cui si otteneva l'immagine. Pregio fondamentale, dato che i ritratti dovevano essere immediatamente venduti a clienti di passaggio.

Un abile operatore era in grado di prepararne una in meno di 5 minuti; il prodotto era commerciato durante le fiere e le sagre, durante le quali accadeva che venisse presentato più come un fenomeno da baraccone che come ritratto di nobili aspirazioni.

I contadini che giungevano dalle campagne per vendere o barattare in paese i prodotti della loro terra coglievano così l'occasione per farsi riprendere o per far fotografare i figli.

L'immagine che si otteneva era caratterizzata da un contrasto bassissimo, per cui risultava necessario porre dietro alle spalle dei soggetti un telo bianco, la funzione del quale era anche di nascondere i muri scrostati che indegnamente sarebbero comparsi come fondali. Non era comunque possibile riprendere sfondi più lontani di qualche metro in quanto la bassa sensibilità dei materiali non consentiva una sufficiente profondità di campo.

L'ambulante non aveva ovviamente tutti quegii accessori che facevano invece bella mostra di sè negli studi. Colonnine, balaustre o raffinate poltrone erano sostituite da una seggiola impagliata. Neppure poteva essere pensabile noleggiare al cliente un cilindro e le ghette, come invece facevano i colleghi che lavoravano stabilmente in città.

Alla povertà dei fruitori dei ritratti finiva cosi, ovviamente, col corrispondere la povertà dei materiali fotografici, delle scenografie, della qualità dei risultati. L'occasione unica di ottenere Un'immagine di sè e dei propri figli ad un prezzo molto contenuto veniva comunque colta con favore.

La possibilità che oggi abbiamo di diventare facilmente produttori delle stampe che noi stessi consumiamo, ha fatto praticamente scomparire il mestiere di fotografo ambulante. Il progresso ha cancellato il fascino delle tecniche più rudimentali, ma a queste rimane il merito di avere promosso i primi passi della "democratizzazione" della fotografia.

Gabriele Chiesa





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