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LA FOTO COL BUCO


© 2000 by Gabriele Chiesa




Ad eccezione dei fotoamatori più smaliziati, molti ignorano che sia possibile ottenere fotografie senza impiegare obiettivo e fotocamera. Il materiale sensibile è l'unica cosa cui non è possibile rinunciare (pur essendo sempre possibile fabbricarselo per proprio conto) .

Intendo qui parlare della stenoscopia: si tratta di un procedimento fotografico che sfrutta il principio elementare della formazione di immagini in una camera oscura, tale proiezione si realizza attraverso un foro di piccolissime dimensioni (steno = stretto). Il fascino della ripresa stenopeica consiste proprio nella possibilità di essere realizzata con mezzi poverissimi e di rendersi utile per comprendere i meccanismi della fotografia in genere.

Pare che gli arabi, per primi abbiano sfruttato questo principio, il primo documento che rappresenta una camera oscura (questa è la denominazione più appropriata) è comunque una stampa che illustra come l'olandese Rainer Gemma-Frisius fu in grado di osservare l'eclissi solare del 24 gennaio 1544 proiettando l'imma8ine del sole sulla parete di una stanza oscurata.

Il foro che deve far passare la luce che compone l'immagine deve essere di dimensioni molto ridotte, pena una grave perdita di incisione dell'immagine.

Fissare su un materiale sensibile un'immagine di così debole intensità luminosa non fu possibile fino a quando non si riuscì a preparare emulsioni sufficientemente rapide e questo avvenne a partire dagli inizi del '900.

Diversi scienziati si occuparono di questo giochetto fotografico: Colson stabilì con complicate formule algebriche la distanza focale in rapporto al diametro del foro che fungeva da obiettivo, cioè la distanza precisa alla quale doveva essere posta la lastra dal foro stanopeico perché l'immagine risultasse il più nitida possibile; Combe determinò con precisione scientifica le norme relative alle caratteristiche del portata di tutti questa tecnica così economica.

I risultati non tardarono a manifestarsi, dando un valido contributo al diffondersi della fotografia presso i meno agiati. La massima diffusione di questa tecnica si ebbe quando Luigi Sassi fece pubblicare nel 1905 il manualetto "La fotografia senza obiettivo".

Per chi volesse togliersi lo sfizio di rispolverare, senza eccessive raffinatezze tecniche, tale metodo, ecco in breve come si procede: ci si procura un conte nitore a tenuta di luce (una scatola di scarpe va benissimo). Sul fondo si pratica un foro grande quanto la punta di un dito, foro che chiuderemo con qualcosa di sottile e opaco (nastro adesivo nero o carta stagnola); questa pellicola andrà forata con la punta di uno spillo (ecco il nostro obiettivo).

A questo punto, in carnera oscura fisseremo un foglio di pellicola o carta sensibile al coperchio. Chiuderemo il tutto e, tenendo un dito sul forellino -- obiettivo, andremo ad appoggiare la scatola nel luogo prescelto. La luce deve poter entrare per un periodo dipendente dal materiale e dalle condizioni di illuminazione. Appoggiato nuovamente il dito sul foro, torneremo in camera oscura per procedere allo sviluppo dell'immagine nella maniera consueta.

Oggi la stenoscopia sta vivendo momenti di nuova popolarità grazie agli effetti che consente di ottenere e all'uso di materiali autopositivi come il Polaroid che permettono di saltare le fasi dal negativo al positivo. La qualità delle immagini (sfumate ed imprecise) ha addirittura convinto molti delle possibilità "artistiche" di questa tecnica obsoleta.

Il suo campo più congeniale di applicazione rimarrà però sempre quello didattico; si tratta comunque di un giochetto divertente che, almeno una volta, è interessante sperimentare.

Gabriele Chiesa






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