L'immagine singola è quasi sempre talmente
ambigua da far apparire inutile in partenza il tentativo di individuare
l'alfabeto attraverso cui le immagini si esprimono. Non sembra
però giusto rinunciare alla ricerca di strumenti interpretativi
sufficientemente omogenei ed attendibili.
La fotografia, come esistenza e come linguaggio,
è estremamente giovane: non ha infatti che poco più
di cent'anni di storia alle spalle, una sciocchezza se confrontati
con le migliaia della scrittura; così subordinata alla
cultura verbale come fino ad ora è stata, non ha potuto
fare a meno di elementi propri dei linguaggi letterari e sembra
quindi corretto tentare una ridefinizione della fotografia riferendosi
a questi linguaggi senza tuttavia rinunciare alle considerazioni
che rendono ben diverse ed autonome le espressioni scritte e fotografiche.
Il linguaggio fotografico e quello verbale
trasmettono entrambi messaggi codificati attraverso segni specifici
che possono avere la duplice funzione di informare e di alludere
ad altre realtà. Ciò che maggiormente interessa
la comunicazione visiva è la trasmissione di significati
al di là del loro contenuto primario.
Per esprimere pensieri che lo stesso linguaggio
verbale fatica a concettualizzare ci si serve per espressioni
figurate che permettono una comunicazione più chiara ed
efficace. Questi moduli espressivi usati coscientemente in maniera
ricorrente si sono andati cristallizzando in un sistema che la
retorica ha strutturato in maniera definitiva analizzandoli minutamente.
I modelli retorici suscitano risposte emotive
che l'uso e la cultura hanno reso automatiche: conoscere questi
meccanismi significa conoscere le leve psicologiche che entrano
in gioco nel messaggio, il loro significato e l'efficacia che
assumono.
Questo tipo di approccio ci permette di ricercare
alcuni tipi di moduli ricorrenti, il che ci può consentire
uno schema di classificazione abbastanza preciso. L'autonomia
dei due linguaggi fa' sì che le figure retoriche dell'espressione
verbale non si ritrovino esattamente nell'uso retorico del segno
fotografico, così come muove categorie sconosciute alla
retorica classica si stanno formando nella prassi fotografica.
Questo strumento di codificazione e interpretazione è compiutamente
sfruttato dalla comunicazione di massa ed in particolare dalla
pubblicità mentre il suo uso è ancora molto limitato
negli altri campi.
Si sono già svolte alcune ricerche tendenti
a definire le figure che più frequentemente si ritrovano
nel linguaggio visuale. Personalmente ritengo che le più
ricorrenti siano: ripetizione, luogo comune, enfatizzazione, preterizione,
antonomasia, sineddoche metafora, ironia, umorismo, allegoria,
personificazione e paradosso.
La cosa risulta poi ancor più complicata per il fatto che tali figure non si presentano una per volta in ogni immagine, anzi sono spesso compresenti. È comunque possibile giungere, per ogni figura retorica, ad una ridefinizione adeguata all'impiego della comunicazione visiva.
Gabriele Chiesa