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La fotografia
nell'arte concettuale





© 1990 by

Paola Bonomelli

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CAPITOLO PRIMO

LA FOTOGRAFIA E LA
TRASGRESSIONE DEL MODERNO

Non sono molti anni che in Italia si è definito un preciso interesse nei confronti della fotografia e che s'indaga sul peso che essa ha esercitato, come veicolo di comunicazione e come espressione nel campo della coltura e dell'arte, nel tentativo di costruire una fisionomia storica in chiave critica.

Verso questa nuova tecnica, ruotano molti artisti appartenenti a movimenti diversi (arte concettuale, land art, body art, performance), interessati soprattutto alla critica d'arte, all'indagine estetica e all'approccio strutturalistico, adottando nuovi criteri di lettura e di giudizio che istituiscono legami sempre più stretti fra arte e percezione e arte e psicologia.

Attorno agli anni 50 negli Stati Uniti, in Francia e in Inghilterra, la fotografia comincia ad essere sentita nell'ambito della mimesi, come veicolo dotato di caratteristiche tecniche precise e ben individuabili, che le conferiscono una certa dignità fra le tecniche di traduzione.

In generale è tardiva la consapevolezza culturale nei confronti della fotografia e delle problematiche che essa comporta, come comunicazione e come espressione tecnica.

La fotografia si afferma quando la borghesia emerge come classe dominante, che in questo nuovo procedimento trova il proprio mezzo d'espressione e di comunicazione.

In Italia, Torino, Milano, Bologna, Genova, Napoli e Roma, appaiono come i centri più vivaci, sia per la precocità delle iniziative editoriali connesse alla divulgazione della dagherrotipia, sia perché furono le città dove si sviluppò maggiormente la pratica sperimentale e professionale delle nuova arte per mezzo del quale "non più l'uomo, ma la natura stessa è fatta di se medesima pittrice".

La scoperta della fotografia (1839), avviene quasi contemporaneamente da diversi ricercatori di diverse nazionalità, ma è attribuita principalmente al pittore parigino Jacques Louis Mandè Daguerre, il quale riuscì a trovare il modo per fissare le immagini e gli oggetti mediante il cloruro d'argento, che ha la proprietà di cangiar colore al solo contatto con la luce.

Nasce così il "Dagherrotipo".

Vanno ricordati anche il parigino Joseph Nicèphore Nièpce (incisore dilettante) che fu il primo ad ottenere un'immagine senza l'ausilio del disegno nel 1826 utilizzando un supporto di metallo e materiale sensibile alla luce, il bitume di Giudea, e l'inglese William Henry Fox Talbot che con la carta sensibilizzata ai sali d'argento che si annerivano con l'esposizione alla luce, contemporaneamente a Daguerre, alla Royal Society di Londra, annunciò la sua scoperta.

Il sistema di Daguerre può essere paragonato al nostro attuale sistema Polaroid, mentre quello di Talbot si fondava sul sistema del negativo (riproducibilità infinita).

Se per fotografia intendiamo semplicemente la riproduzione del reale in immagine, senza intervento manuale, la scoperta va attribuita a Daguerre e a Nièpce, se invece intendiamo fotografia come riproducibilità delle copie infinite e sempre uguali, la responsabilità la attribuiamo a Talbot.

Dal 15 giugno 1839, la fotografia, non può essere ancora considerata come una tecnica alternativa nel campo della riproduzione, essa può fornire solo l'iconografia di un dato soggetto.

Negli anni 1839-40, infatti, quando era possibile ritrarre solo i "monumenti e i siti", l'esigenza di sfruttare commercialmente l'invenzione di Daguerre e di provvedere al contempo ad una diffusione dell'immagine, ebbe la sua espressione nell'edizione di serie di stampe all'acquatinta e all'acquaforte, studiate sulla dagherrotipia.

Il periodo di maggiore fioritura della dagherrotipia si ebbe dopo il 1842 quando, grazie all'uso dei materiali chimici acceleranti fu possibile eseguire ritratti.

Il ritratto dagherrotipico, rispetto a quello ad olio, ma soprattutto rispetto a quello in miniatura che, per il piccolo formato è il termine di raffronto più immediato e diretto, ha il vantaggio di mantenersi entro costi più contenuti, di offrire il massimo dell'oggettività e di conservare contemporaneamente intatte le rappresentazioni.

Non a caso la Dagherrotipia ebbe i suoi clienti più assidui nell'aristocrazia e nell'alta borghesia che le attribuivano una certa dignità artistica legata in parte proprio alla sua natura di unicum.

Secondo la concezione dell'epoca, i ritratti dagherrotipici in una famiglia aristocratica venivano associati alla figura femminile, perché di basso costo e più veloci nell'esecuzione, mentre i ritratti a olio andavano al figlio maschio primogenito, che aveva il compito di proseguire la stirpe con il proprio cognome.

Il pregio maggiore della fotografia nella concezione dell'epoca, consisteva nel suo straordinario potere di mimesi : i prodotti della dagherrotipia, in cui alla ricchezza dei particolari si aggiungeva una straordinaria e puntuale definizione dei canoni, erano specchio fedele della natura.

Queste caratteristiche fecero si che, almeno nei primi anni della storia della fotografia, essa fosse di gran lunga preferita alla calotipia che forniva invece immagini povere di definizione a causa dell'opacità e della granulosità del proprio supporto negativo, la carta.

Furono i perfezionamenti tecnici apportati che resero in seguito la calotipia una tecnica realmente praticabile, grazie al negativo cerato sparì quell'eccessiva imprecisione di contorni che ne aveva in parte determinato l'insuccesso.

Nel 1851 una tecnica nuova, il collodio umido soppianta ben presto la dagherrotipia e la calotipia, essa radunava in se i pregi delle due tecniche, eliminandone gli inconvenienti.

Come la calotipia e il collodio umido era basato su negativo positivo, perciò vi era la possibilità di riprodurre il soggetto all'infinito, garantendo per mezzo del supporto vitreo e trasparente del negativo la ricchezza di particolari e nitidezza.

La fotografia diventa sempre più, grazie alle possibilità di abbreviare i tempi espositivi, uno strumento quanto mai duttile di registrazione, in cui le figure quando ci sono, sono chiaramente in posa.

La ritrattistica riceve un nuovo e straordinario impulso ; il professionismo acquista molto più che nelle fasi precedenti della fotografia le dimensioni di un fenomeno economico.

La fotografia come forma artistica, si diffuse anche negli Stati Uniti sotto l'impulso di Alfred Stieglitz, che fu un grande fotografo.

I suoi strumenti di propaganda furono una rivista Camera Work (50 numeri dal 1902 al '17) che mostrava gli esempi più elevati "dell'opera della macchina fotografica" e una galleria d'arte che, per la prima volta, mostrava accanto ai quadri e ai disegni di Picasso e Matisse le fotografie di Stieglitz e tanti altri fotografi partecipi del nuovo movimento.

Questo si chiamò Photosecession, per distinguersi da ogni applicazione meccanica della fotografia. Inizialmente i suoi membri praticavano tutte le tecniche del pittorialismo fotografico : stampa al carbone, al platino, alla gomma, al bromolio, che facevano assomigliare l'immagine fotografica a un dipinto.

Stieglitz tuttavia, per rivendicare la dignità della fotografia, abbandonò poco per volta queste tecniche e cominciò a fotografare in condizioni, per quell'epoca proibitive, per mettere alla prova i limiti espressivi della fotografia.

Fotografo di notte, durante una tempesta di neve, nei giorni di pioggia, con macchine e pellicole commerciali. Le superbe immagini che ottenne erano la prova che l'estetica fotografica si poteva sviluppare a partire dallo strumento in se, senza artifici e abilità particolari.

Così Stieglitz, dopo aver diffuso in America il gusto sofisticato del pittorialismo, divenne anche l'anticipatore della fotografia pura, cioè di quella fotografia che fonda la sua bellezza ed espressività nella perfetta fusione di realtà e tecnica attraverso l'istantanea.

L'arte del XX secolo in occidente si apre all'insegna dell'individualismo.

La modernità, cancellando il criterio geografico delle diverse scuole pittoriche, erigeva contemporaneamente quello cronologico. Scomparendo le divisioni geografiche, l'insieme delle opere fu diviso in grandi periodi che corrispondevano ai grandi sconvolgimenti estetici quali l'Impressionismo, il Fauvismo, il Cubismo etc.

L'opera moderna per svilupparsi non poteva che guardare al futuro ; comincia così la frenetica corsa verso l'innovazione.

Il paradigma estetico non risiede più nell'imitazione di una pratica antica, ma alla rottura violenta di un superamento. L'avanguardia è critica, ed è rivolta a un progetto per un "diverso".

In Europa furono gli artisti d'avanguardia a stimolare i fotografi, in quanto la loro concezione di modernità comportava l'impiego dei mezzi moderni di comunicazione.

L'invenzione di questi artisti era dare origine ad una nuova cultura che fosse in accordo con la tecnica ; in questo modo la fotografia venne coinvolta in diversi progetti.

Se l'aspirazione fondamentale di ogni movimento era una ricerca sempre nuova per relazionarsi alle cose, la fotografia acquista certamente un ruolo determinante.

L'avanguardia era già stata preannunciata da singole personalità anticipatrici e movimenti quali il Simbolismo e il Decadentismo ; raggiunge il suo massimo sviluppo nel decennio che precede la prima guerra mondiale attraverso il Fauvismo, il Cubismo, l'Espressionismo e il Futurismo per giungere agli anni trenta con le avanguardie sovietiche, il Dadaismo, il Surrealismo e l'Astrattismo.

Dadaisti, surrealisti e costruttivisti scopriranno che la fotografia non era solo un occhio preciso costituito da un obiettivo e diaframma, ma anche camera oscura e schermo sensibile.

Ciò significava poter manipolare le immagini dando largo spazio al caso e quindi all'imprevisto all'inconscio e al non senso.

Con la sperimentazione e il collage essi contribuirono a rivoluzionare il concetto di arte che arriverà alle estreme conseguenze con il concettualismo degli anni sessanta e settanta.

L'uso del mezzo fotografico si imporrà prepotentemente nel lavoro degli artisti divenendo l'aspetto centrale di molti lavori per più di un decennio.

La nuova tecnologia

Con i nuovi procedimenti fotografici di stampa, ancora da sperimentare, il lavoro sarà più lento ma qualitativamente superiore alle aspettative.

La prima pittura futurista (statica), con la fotografia, delineò chiaramente la problematica che poi in seguito l'avrebbe distrutta : della simultaneità del movimento, della raffigurazione e dell'impulso temporale, tutto questo in un periodo in cui il cinema era già conosciuto ma ben lungi dall'esser compreso.

Analogamente la pittura dei costruttivisti spianò la via ad uno sviluppo ad alto livello delle composizioni ottenibili con proiezioni luminose.

Così pure, alcuni dei pittori che oggi lavorano con mezzi figurativi - oggettivi ("neoclassicisti" e "nuova oggettività"), possono venire considerati come i "precursori di una configurazione ottica di tipo figurativo", che presto si varrà unicamente di mezzi tecnico meccanici.

Una volta si trascurava completamente che in fotografia, uno degli elementi fondamentali del processo fotografico è costituito dalla sensibilità della luce di una superficie preparata chimicamente (vetro, metallo, carta, celluloide).

Questa superficie si subordinava sempre solo alle leggi prospettiche della camera oscura, per fissare o riprodurre singoli oggetti, nel loro modo particolare di riflettere o assorbire la luce.

E non si era abbastanza coscienti delle possibilità insite in questa combinazione.

La presa di coscienza di queste possibilità avrebbe infatti indotto a rendere visibili, per mezzo dell'apparecchio fotografico, fenomeni che sfuggono alla percezione o alla ricezione del nostro strumento ottico, l'occhio.

L'apparecchio fotografico è perciò in grado di perfezionare e in particolare di integrare il nostro strumento visivo

Il segreto delle immagini "scorrette" : viste dall'alto, dal basso, di scorcio, risiede nel fatto che l'apparecchio fotografico riproduce la pura immagine ottica, mostrando così le distinzioni, le deformazioni, gli scorci ecc. otticamente reali, mentre il nostro occhio integra l'immagine ottica con la nostra esperienza intellettuale, mediante legami associativi formali e spaziali, in un immagine concettuale.

Per questo noi possediamo con l'apparecchio fotografico il mezzo più sicuro per dare inizio a una visione più obiettiva.

Ciascuno sarà costretto a vedere ciò che è otticamente reale, di per se significante, oggettivo, prima di poter attingere a una possibile presa di posizione soggettiva.

Viene così rimossa la suggestione di immagine e di rappresentazione impressa nella visione da alcuni eccellenti pittori e rimasta intramontabile per secoli.



Fotografia senza macchina fotografica

- Il fotogramma :

Una nuova possibilità creativa consiste nel far cadere la luce su uno schermo (carta sensibile alla luce) facendola passare attraverso corpi con coefficienti diversi di raffigurazione, oppure, si oscurano certe parti dello schermo.

Questa novità rende possibili composizioni luminose, "nuovo mezzo creativo" alla stessa funzione del colore in pittura e del suono in musica.

In esso giacciono le possibilità creative di una materia appena conquistata.

- Futuro della tecnica fotografica :

Le nuove forme creative fotografiche porranno fine alle affermazioni che la fotografia non è un'arte.

La fotografia intesa come arte della rappresentazione non è una semplice copia della natura.

Le possibilità di applicazione della fotografia sono innumerevoli, poiché essa permette di fissare gli effetti di valori luminosi, e progredendo maggiormente, pure di valori cromatici dai più crudi ai più delicati.

Si ottengono delle immagini fotografiche, assemblando, ritagliando stampe fotografiche, collage fotografico (fotomontaggio) realizzati dai dadaisti.

- Il tipofoto :

La fotografia è rappresentazione visiva di ciò che è afferrabile otticamente.

"Il tipofoto è la comunicazione visiva rappresentata più esattamente".

COMUNICAZIONE PROCEDIMENTO FOTOGRAFICO UOMO

Dalle connessioni ottiche e associative si sviluppa la composizione e la rappresentazione : in una continuità visuale-associativa-concettuale-sintetica, nel tipofoto, come rappresentazione inequivocabile in una forma otticamente valida.

L. Moholy-Nagy e la sua visione

"La natura che si rivela all'obiettivo dell'apparecchio fotografico è diversa da quella che parla all'occhio" scrisse Walter Benjamin, diversi anni dopo che Moholy - Nagy aveva già posto le premesse sperimentali per le teorie di Benjamin.

Questa natura diversa scoperta dell'obiettivo fotografico, influisce su ciò che dopo la sua emigrazione, Moholy Nagy chiamerà "The new vision".

Esso modifica la nostra comprensione del mondo reale.

Pittura - fotografia - film, è oggi presente come una nuova unità anche la dove la volontà conformatrice di Moholy Nagy difficilmente avrebbe condotto, così nel neorealismo di un Bacon, Rivers, Warhol, Vastel e di molti altri, la cui realtà non è altro che una seconda realtà prodotta mediante la fotografia. Moholy Nagy si definì sempre un costruttivista, ma si svincolò rapidamente dal costruttivismo statico del proprio tempo.

Non è stato dimenticato il trucco fotografico e neppure il foto - collage prediletto dell'attuale Pop Art, oppure il "viso che sorge dal nulla" che comprende le tappe percorse dal ritratto di Franz Lenbach fino a Francis Bacon.

Anche il fotogramma di Cristian Schad e Man Ray è stato posto al servizio dell'esperimento artistico, analizzato da Moholy Nagy anche in senso teorico e filosofico.

Ciò che lo affascinava era il misterioso spazio prospettico del quadro realizzabile mediante il fotogramma.

Ora non si tratta più solo di luce invece che pigmento, ma bensì di "spazio mediante la luce" e di un "continuum spazio - temporale".

Il fotogramma ci permette nuove possibilità di rapporti spaziali, scriverà Moholy Nagy nel volume "Vision in motion" (ciò che appare nel fotogramma non è altro che il manifestarsi di diversi tempi d'esposizione misurabili dalla distanza della sorgente luminosa dagli oggetti)

FOTOGRAMMA CONTINUUM SPAZIO - TEMPORALE



CAPITOLO SECONDO

GLI ARTISTI E
LA FOTOGRAFIA

Nella storiografia e nella critica ottocentesca, e specie dell'Ottocento positivista, la fotografia, considerata soprattutto sotto il profilo scientifico, altro non è che il mezzo attraverso cui la natura, grazie ai suoi stessi strumenti, cioè grazie alla luce del sole, provvede alla riproduzione automatica di se stessa.

La fotografia come mimesi del reale, capace di liberare l'uomo da un diretto intervento manuale nella riproduzione del mondo fenomenico, è un concetto dunque implicito già nelle origini della fotografia.

E' interessante notare come il "vero naturale" s'identifica con il vero della prospettiva lineare concepita più che come una rappresentazione simbolica, come una forma oggettiva e indipendente allo spazio : l'invenzione quattrocentesca diviene quasi sinonimo di scoperta.

L'aspetto della fotografia che più colpisce a questa data è quindi la possibilità che essa offre di operare un tipo di selezione del reale perfettamente analoga a quella impostasi in Europa con il Quattrocento (Bordieu-Castel-Boltanski-Chamboredon) e di operare tale selezione meccanicamente, senza alcuna difficoltà, prescindendo completamente da quella preparazione culturale, implicita nell'insegnamento del disegno, su cui, per lunga tradizione, poggiava l'apprendimento delle regole connesse alla rappresentazione pittorica.

Per quanto riguardava l'assunzione dell'oggetto, fotografia e pittura apparivano quindi abbinabili per una coincidenza di compiti da cui per altro, nella concezione del tempo, solo la pittura poteva elevarsi per gli impliciti margini di creatività, invenzione e stile da sempre riconosciutole.

Proprio sulla coincidenza di questi compiti che nacque la rivalità tra pittura e fotografia, Delaroche, nel 1839 preconizzava la morte della pittura come arte preposta alla mimesi del mondo reale.

Se risaliamo indietro fino a Brunelleschi, cioè alla prima formulazione (ancora a livello sperimentale) delle leggi che regolano la rappresentazione prospettica, è possibile verificare fino in fondo come la camera oscura e la prospettiva forniscano immagini affatto identiche.

Brunelleschi, già all'epoca in cui faceva pratica d'orefice, cioè intorno al 1400, cominciò ad occuparsi di tecnica della veduta dipingendo due tavolette raffiguranti il Battistero e la piazza della signoria a Firenze, utilizzate più tardi (come verifiche o sperimentazioni sui principi della visione) nel Trattato della pittura dove l'Alberti imposterà la teoria della prospettiva, dedicata appunto a Brunelleschi.

Fu proprio un italiano, Leonardo da Vinci, a descrivere per primo, con sufficiente precisione, i principi e il funzionamento della camera oscura.

Leonardo segna un passo in avanti fondamentale sulle tecniche rappresentative dello spazio in cui, forse, la riflessione sulla camera oscura, come strumento ausiliario per una presa di contatto con il reale, poté assumere un certo peso.

La sua "finestra", com'è noto, costituisce il punto di riferimento di tutte le moderne teorie di percezione.

Sebbene risulti che gli scritti di Leonardo sulla camera obscura abbiano avuto una diffusione capillare soltanto alla fine del Settecento.

Attraverso la camera oscura, l'immagine ottica e l'implicita possibilità di sfruttarla ai fini della rappresentazione pittorica, tre secoli prima che Daguerre e Talbot scoprissero gli agenti chimici capaci di fissarla, erano già un punto di riferimento preciso nella cultura italiana.

Nel rinascimento, come nel periodo barocco, l'Italia fu uno dei centri più vivaci della vita artistica culturale d'Europa, non a caso nel Cinquecento la camera oscura era stata perfezionata proprio in Italia dove ben presto era diventata lo strumento tecnico indispensabile per realizzare praticamente e più celermente quel tipo di selezione del reale.

Già dal tempo di Giovan Battista Della Porta, che per primo pensò a questa possibile applicazione della camera oscura, gli artisti cominciarono ad utilizzarla quale strumento prezioso per una più esatta e rapida riproduzione del reale per assicurarsi una più precisa applicazione delle regole prospettiche nella realizzazione dei propri quadri.

Artisti come Vermeer, Canaletto e Guardi ne fecero, infatti, ampio uso per le proprie opere.

Interessante notare come la "nuova sperimentazione" abbia suscitato gli interessi più vivi dei pittori fuori e dentro le accademie e le scuole, inizialmente poco sfruttata per la difficoltà di possedere una camera obscura, successivamente, con l'affermarsi della fotografia bastava acquistare la lamina d'argento, poi il foglio di carta, su cui gli agenti chimici erano riusciti a fissare l'immagine ottica per studiare "un quadro fatto dalla natura medesima".

La fotografia diviene più che la natura stessa, oltre alla resa del soggetto e della prospettiva è in grado di suggerire, infatti, un'esatta e puntuale definizione delle ombre, elementi quando mai significativi per lo studio dei volumi e dello spazio.

In un primo momento gli artisti erano attratti soprattutto dalla perfezione, dalla nitidezza o dall'apparente oggettività del modello fotografico (che si diedero a copiare fedelmente con gusto quasi accademico), mentre con gli impressionisti l'attitudine fu invece tesa a captare la suggestione d'alcuni specifici della fotografia la cui resa si avvicinava alla nuova visione pittorica da loro portata avanti.

Sotto questo profilo è interessante notare come la pretesa di una fotografia, corrisponda ai gusti e alle richieste di quei pittori, la cui ricerca formale, si mosse nell'ambito del realismo.

Dall'altra parte e contemporaneamente la fotografia degli "irregolari" e dei pittori sottolinea l'affiorare di una nuova visione del mondo e l'esigenza d'espressioni figurative alternative.

La scarsa sensibilità dei primi agenti chimici ad alcuni colori dello spettro solare, portava come conseguenza ad un addensarsi delle zone di luce e d'ombre che venivano pertanto a presentarsi prive di dettagli, quasi come campiture piatte e inarticolate, accentuando anche nella raffigurazione dei "vicini" un tipico effetto dei "lontani".

Il pittore guarda alla fotografia come ad un appunto per la memoria cui è demandato il compito di conservare e trasmettere un momento emozionale, una composizione particolare che il pittore interpreta poi in assoluta libertà creativa di linguaggio "in un'intonazione fresca e smaltata fra le più interessanti e preziose", lontano dai valori fortemente chiaroscurali del suo modello fotografico.

Un articolo del Claudet, apparso nella "Gazzette des Beaux-Arts" del 1861, definisce il ruolo della fotografia nei confronti dell'arte come un apporto di natura tecnico - scientifica che in alcun modo avrebbe potuto determinare la fine della pittura e del suo messaggio.

Si è detto che la fotografia avrebbe portato alla fine della pittura perché il pubblico potendo rifornirsi dei "quadri della natura", prodotti dalla fotografia, non sarebbe più ricorso ai pittori e alle loro opere più costose.

Quest'opinione è errata perché il compito della pittura è quello di creare, della fotografia è di copiare e riprodurre.

La pittura ha, infatti, la propria fonte d'ispirazione nell'anima ; più che copiare la natura essa la trasfigura e l'abbellisce sotto la spinta potente dell'ispirazione estetica di una ben precisa ispirazione intellettuale.

La fotografia segna la fine solo dei falsi artisti, di coloro cioè che non sanno elevarsi, nella loro produzione, dal ruolo di riproduttori della natura : sotto quest'aspetto la fotografia darà un gran contributo alla formazione del gusto.

La fotografia non è altro che uno specchio infallibile e fedele della natura, nella quale, il "vero" si trova descritto minutamente e la prospettiva e il disegno correttamente riprodotti.

L'invenzione di Daguerre rende il lavoro dei pittori più facile e rapido, meno soggetto all'errore : essa è per l'artista un vocabolario che lo guida nella traduzione del linguaggio della natura, un album al quale attingere continuamente per un aspirazione sempre nuova.

Più che con la pittura è tra la fotografia e l'incisione che nasce un vero e proprio "combattimento con un'immagine".

La possibilità di mimare la natura, di riprodurla fedelmente, senza alcuna mediazione soggettiva, investiva automaticamente la fotografia di una forte funzione culturale affidata alla diffusione e alla circolazione dell'immagine come veicolo dell'informazione.

Dal Quattrocento in poi, aveva tenuto il monopolio l'incisione che, come la fotografia, è in grado di fornire, a costi contenuti, innumerevoli copie di una medesima matrice.

Specie con il Cinquecento, con la necessità cioè di riprodurre le opere di grandi maestri, primi fra tutti Michelangelo, Leonardo e Raffaello, ad uso degli studiosi d'arte e degli studenti di pittura, l'incisione tende sempre più a divenire di traduzione.

I soggetti cioè non sono più "invenzione" dell'incisore, ma "traduzione" delle opere del passato, nasce il "bulino di traduzione" tecnica scelta a preferenza di altre (dell'acquaforte ad esempio), in grado di fornire una matrice che resiste più a lungo all'usura e che permette pertanto una tiratura teoricamente illimitata.

Il commercio della fotografia è felicissimo.

Perché il loro prezzo è la sesta o la settima parte di quello delle stampe.

Per abbassare conseguentemente i prezzi del prodotto finito, si assiste, infatti, intorno alla seconda metà dell'Ottocento ad una parziale meccanizzazione del processo incisorio : l'uso delle macchine, come ad esempio, i "tiralinee", per la campitura di spazi considerati neutri, cioè senza figure (cielo, terreno, piano di fondo) diviene sempre più diffuso.

Addirittura con l'invenzione di uno strumento nuovo, il physionotrace (1786) basato sul principio del pantografo si automatizza tutto il processo incisorio.

Con l'avvento della gelatino bromuro d'argento (1880), la fotografia uscì dallo stretto ambito del professionismo.

Il nuovo processo, infatti, non richiedeva più al fotografo quelle complesse nozioni di chimica e di ottica che caratterizzano la sperimentazione tecnica delle origini.

La possibilità di disporre dei materiali già pronti, prodotti dall'industria fotografica, la semplicità d'uso dei nuovi apparecchi di piccolo formato, reclamizzata dalle case produttrici, apriva la via alla non professionalità della fotografia.

Le regole classiche della composizione e della prospettiva elaborate dal Rinascimento, sempre presenti nella "composizione" fotografica dei professionisti, cominciarono a scomparire nella fotografia amatoriale che veniva a evidenziare piuttosto modi alternativi, tutti ugualmente validi, perché possibili, di leggere il dato naturale.

Vediamo così che gli "irregolari" (i non professionisti) rappresentano, come espressione dell'avanguardia, un preciso passo verso una definizione di fotografia in senso moderno che si allontana profondamente dalla precedente posizione ottocentesca del professionismo, ancora profondamente ancorata a un canone estetico pittorico e non fotografico che individua nella "visione" albertiana, l'unica "costituzione legittima" del mondo visibile.

L'importanza ad esempio che la fotografia viene ad assumere in Degas, come suggestione di mosso, le indicazioni che essa sembrava sottolineare sull'opportunità di una messa a fuoco diversa secondo i piani prospettici, la lezione degli esperimenti di Muybridge sul moto del cavallo lanciato al galoppo, costituirono più di uno spunto per una riflessione sulle possibilità della fotografia di scandagliare la realtà ottica del mondo reale.

L'attività pittorica, spinge a comporre la scena secondo una precisa vocazione artistica : anche le immagini apparentemente più spontanee, se ben osservate, rivelano una precisa regia in cui si avvertono le tendenze della "fotografia artistica".

L'ingenuità dell'approccio fotografico del dilettante sottolinea la capacità della fotografie di registrare oltre gli elementi previsti, anche una quantità di dati, spesso connessi alle caratteristiche tecniche delle varie ottiche.

Proprio questi spunti evidenziano come la fotografia possa offrire letture alternative.

Immagine singolare d'una cosa nota, immagine differente da quella che noi abbiamo l'abitudine di vedere, singolare e tuttavia vera, e che per noi è doppiamente affascinante perché ci sorprende, ci fa uscire dalle nostre abitudini, e ci fa rientrare in noi stessi ricordandoci un'impressione.

Il colore, molto più che non la fotografia in bianco e nero, che di per se stessa stabilisce un'implicita distanza rispetto al reale, si presenta come la copia più fedele della realtà esterna : la sua realizzazione fu salutata, infatti, come un trionfo tecnico, che, mentre poneva finalmente la fotografia in grado di gareggiare ad armi pari con la pittura, le conferiva in più la pretesa di un oggettività non altrimenti attingibile.

Le polemiche subito accesesi, già dal primo processo di Daguerre sulle possibilità estetiche della fotografia, generarono nei fotografi delle origini il desiderio di gareggiare con i temi più nobili della pittura.

La fotografia diventò una nuova espressione artistica.

Il paese che vide la prima fioritura di questa tendenza nota come pittoricismo fu l'Inghilterra.

La pratica del pittoricismo divenne ben presto una vera e propria mania (anche i più grandi fotografi come Hill e la Cameron non rimasero indifferenti all'evento).

All'accademismo e al pittoricismo era successo un periodo nuovo, nell'arte come nella fotografia di maggiore ispirazione al mondo naturale, ma, pur cambiando i temi, continuano le interferenze fra arte e fotografia.

La ricerca decorativa più che prospettica e l'uso dei processi della gomma bicromata e al bromolio si riallacciano, infatti, alle espressioni artistiche coeve; all'impressionismo prima e all'Art Nouveau poi.

Nel 1840 fu avanzata l'ipotesi che all'efficacia dell'obiettivo si poteva contrapporre l'uso di obiettivi difettosi, vetri e altri materiali traslucidi che interposti fra l'obiettivo e la lastra creavano i così detti "effetti armoniosi".

Nel 1868, l'utilizzo nella stampa di una carta da disegno ruvida, rendeva le fotografie imprecise nei particolari, somiglianti a disegni a nero di seppia o all'inchiostro di china.

Resta però la gomma bicromata la tecnica più rivoluzionaria di cui la fotografia poté disporre per dare l'impressione di essere opera della mano di un artista.

"Ci si rese subito conto che i produttori di immagini si trovano a disporre di un nuovo potere.....Al primo sguardo l'impressione era quella di un acquerello o di un disegno a pastello compiuto dalla mano di un artista."

Con l'impressionismo, le tendenze preraffaellite, il simbolismo e il futurismo, vede sgretolarsi il mito ottocentesco dalla fedeltà del dato naturalistico, si verifica, fra pittura e fotografia, uno straordinario avvicinamento.

Artisti come Manet, Cézanne, Degas e Gauguin in Francia, Michetti e Sartorio in Italia, D. G. Rossetti in Inghilterra, per citare i più noti, fanno ricorso alla fotografia.




La fotografia dagli impressionisti in poi

Con l'aiuto della macchina fotografica, gli impressionisti analizzavano i rapporti variabili di luce all'interno della natura, ottenendo poi nei quadri una migliore resa dell'atmosfera.

I dipinti di questo genere pur ispirandosi alla fotografia, se ne differenziavano sostanzialmente per nitidezza e ricchezza di dettagli.

Le scelte tecniche, consistevano semplicemente nel non mettere a fuoco perfettamente l'obiettivo, far oscillare lievemente il cavalletto prima dello scatto, oppure mettere davanti all'obiettivo una lastra di vetro appena velata di vaselina.

Il modo d'intendere la fotografia "artistica" iniziò perciò nel 1890 e raggiunse l'apice nel 1910, tendenza che si diffuse in tutto il mondo, soprattutto in Francia, patria dell'impressionismo.

La fotografia artistica americana si differenzia sostanzialmente da quella europea.

Nello stesso ambito, la tecnica americana, a differenza di quella europea, non rifiuta le caratteristiche specifiche della fotografia. Questo si può spiegare perché in genere gli americani sono più portati a un modo di vedere realistico.

I fotografi operanti in questo periodo della fotografia artistica, svilupparono al massimo le possibilità offerte dalla manipolazione mediante i più disparati effetti di luce.

Luis Ducos du Hauron e i suoi assistenti idearono nel 1889 un dispositivo per ottenere il così detto "trasformismo" in fotografia.

Le caratteristiche dei soggetti potevano essere alterate come nelle immagini create dagli specchi deformanti, con lo scopo però di evidenziarne il carattere estetico.

Il "trasformismo" fotografico però non incontrò il gusto del pubblico, mentre si affermò il ritocco delle negative.

Poeti e artisti simbolisti erano unanimi nell'avversare l'immagine fotografica, scrive Eduard Dujardin:

Scopo della pittura è di esprimere le sensazioni, non già percepite dalla parvenza esteriore delle cose, ma nella loro quintessenza, nel loro intimo carattere.

Odilon Redon, a sua volta contesta la convinzione generale che voleva che l'immagine fotografica fosse trasmettitrice di verità. L'artista ha la capacità di estrarre una verità più profonda della natura.

La fotografia si limita a registrare il nudo già fatto ed è priva di vita.

Analogamente ai suoi amici simbolisti Gauguin nel 1888 si oppose alla pittura illusionista :

Io considero l'impressionismo un punto di partenza del tutto nuovo che diverge inevitabilmente da tutto ciò che è meccanico come è la fotografia...

La fotografia secondo Gauguin era stata dannosa per l'arte :

Sono entrate le macchine, l'arte è uscita......

Sono lontano dal pensare che la fotografia possa esserci utile.

Nel 1889 anche Vincent Van Gogh sottolineò in una lettera al fratello Théo, l'importanza di trasmettere il sentimento e la personalità ai suoi quadri e di evitare la nuda veridicità dell'immagine fotografica.

La fotografia riesce quindi a liberare l'artista dalla tradizione pittorica che incoraggiava la copia fedele della natura.

Il violento grido di rivolta contro la tirannide dell'imitazione avvenne nel XX secolo con i post-impressionisti.

Clive Bell scrive nel 1914 che la fotografia aveva assunto gran parte della finzione precedentemente assolta dalla "pittura descrittiva".

In questo modo proprio l'era della fotografia contribuì ad avere liberato la pittura da ogni contesto imitativo o convenzionale.

Nello studio sui pittori cubisti (1913) Apollinaire sosteneva che :

Ogni Dio crea a propria immagine e somiglianza, e altrettanto fanno i pittori. Soltanto i fotografi confezionano i doppioni della natura.

Anche i futuristi tennero ad affermare che la loro pittura aspirava ad essere contraria e certo superiore alle immagini della macchina fotografica.

Nel manifesto del colore 1918, Balla affermò che :

Data l'esistenza della fotografia e della cinematografia, la riproduzione pittorica dal vero non interessa più a nessuno.

Gli espressionisti tedeschi riconoscevano alla fotografia la funzione di una rappresentazione pittorica.

Oggi la fotografia riesce a dare una rappresentazione esatta, perciò la pittura, liberata da questo compito, riconquista la sua originaria libertà d'azione.

Nel 1920 André Breton cominciava una breve nota sul movimento Dada e su Max Ernst con questa osservazione :

L'invenzione della fotografia ha inferto un colpo mortale ai vecchi modi di espressione, in pittura come in poesia,

gli artisti miravano a rompere con l'imitazione di ciò che si vede.

Nell'Europa dell'inizio del nostro secolo l'arte ha un carattere oscuro, clandestino, spigliato.

Questi aspetti fra i più visibili e appariscenti esprimevano virtualità profonde riassumibili con il termine "avanguardia".

L'avanguardia era stata preannunciata dai movimenti come il Simbolismo e il Decadentismo, assumendo consistenza dagli ultimi anni del secolo XIX fino al suo massimo sviluppo nel decennio che precede la prima guerra mondiale, attraverso tendenze che rispondono al nome di Fauvismo, Cubismo, Espressionismo, Futurismo ecc. e continua fino agli anni trenta, soprattutto con le Avanguardie Sovietiche, il Dadaismo, il Surrealismo e L'Astrattismo.

L'avanguardia era intesa come "cultura di minoranza", e non poteva fare a meno di combattere e di negare la "cultura di maggioranza" a cui si oppose.

Non era la fotografia in sé che irritava l'avanguardia.

Molti artisti d'avanguardia del XIX e del XX secolo furono attratti dalle immagini evocative e delle caratteristiche formali offerte dalla fotografia.

In effetti, la fotografia non soltanto fu utile ai pittori che continuavano a lavorare nella tradizione del naturalismo, ma fu anche sfruttata da coloro che respingevano tale tradizione.

Il giorno due febbraio 1910 a Milano, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla e Gino Severini firmano il primo "manifesto dei pittori Futuristi" dedicato agli "artisti giovani d'Italia".

Il manifesto conteneva il concetto di simultaneità, del moltiplicarsi delle cose in movimento e del compenetrarsi dei corpi.

Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido.

Una figura non è mai stabile davanti a noi ma appare e scompare incessantemente per la persistenza della retina, le cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi come vibrazioni, nello spazio che percorrono.

Questo concetto è applicato dai Futuristi anche mediante la fotografia, che era in grado di evidenziare le fasi di movimento simultaneo di un soggetto.

Può essere assai illuminante mettere a fianco le opere di Marcel Duchamp e dei Futuristi Italiani con le fotografie e i diagrammi di Marey.

Il dipinto di Duchamp, "cinque silhouette di una donna su piani diversi", esposto per la prima volta al Salon D'Automme del 1911, rivela una chiara propensione per le immagini ripetute, sovrapposte della "Cronofotografia", tecnica di creare un equivalente pittorico (ove lo stesso soggetto appare in diverse sequenze di un racconto, inserite in un unico schema compositivo).

Anche Giacomo Balla non fu estraneo alla fotografia, come indicano chiaramente alcuni suoi quadri.

Anton Giulio Bragaglia e suo fratello Arturo furono i primi a fare esperimenti, fin dal 1910, con la cronofotografia, e negli anni 1911-13 furono assai legati con Balla.

Nel 1911 Marinetti, fondatore del movimento letterario del futurismo, contribuì ad organizzare a Roma una mostra di fotografie dei fratelli Bragaglia (fotodinamismo, fotocinematica).

Con il termine "Cubismo" si designa, come si sa, la rivoluzione estetica e tecnica compiuta fra il 1907 e il 1914 da Picasso, Braque, Juan Gris e Léger.

Nello sviluppo cubista si distinguono generalmente tre fasi :

Cezanniana - (1907-1909) ispirata a Cezanne per l'utilizzo dei corpi solidi tridimensionali dove Picasso e Braque si avvicinano alla scultura negra e primitiva.

Analitica - (1910-1912) dove la rottura delle forme del soggetto getta le basi di una nuova concezione dello spazio pittorico.

Sintetica - (1913-1914) dove si annulla totalmente il procedimento di imitazione, con l'impiego di segni plastici liberamente inventati.

E' difficile stabilire in quale misura il cubismo sia stato influenzato dalla fotografia, anche se Picasso studiò nel 1909 fotografie di natura "cubista".

Scrive Moholy Nagy :

Il cubismo si servì della fotografia per studiare i valori delle superfici.

In diverse occasioni Picasso si servì in modo piuttosto diretto della fotografia, come prima di lui avevano fatto Cezanne, Gauguin e Touluse Lautrec, imponendo il proprio stile all'immagine meccanica.

Picasso fa un uso delle più acute distorsioni ottiche dell'obiettivo grandangolare.

Nel XX secolo qualsiasi espressione artistica, qualsiasi esperimento, erano ammessi per quanto fantasiosi e per quanto assurdi o esagerati potessero essere.

Alle ambiguità visive del cubismo, si aggiunse a partire dal 1909, un nuovo elemento importante : frammenti di oggetti veri furono incorporati nei quadri o usati per creare sculture.

La tecnica del collage fu usata per la prima volta da Picasso in una natura morta del 1911.

Per quanto gli artisti fossero contrari a usare nell'arte immagini fotografiche convenzionali, nel loro uso nel collage e nel montaggio era ritenuto pertinente e conforme alla natura dell'arte moderna.

"Le Images Trouvees" già confezionate, frammenti di realtà sotto forma di fotografie e di riproduzioni fotografiche, fornirono all'artista dada un arma di estrema efficacia per scandalizzare il pubblico.

Il fotomontaggio era il perfetto complemento della poesia fatta a caso, patrocinata da Hans Arp, Tristan Tzara e Kurt Schwitters.

Anche Salvador Dalì espresse il desiderio di avvicinarsi alla "realtà fenomenica", comunicando pensiero irrazionale e fantasia con il massimo di illusionismo del Trompe-l'oeil.

Simulando nella pittura la fotografia, era possibile realizzare la "concreta irrazionalità" della fotografia a colori istantanea fatta a mano.

Anche i Costruttivisti Russi, come alcuni surrealisti si adattarono al programma creativo fotografico.

I costruttivisti, come i dadaisti rifiutavano l'individualismo e l'auto espressione, considerate arte borghese, preferendo l'utilizzo della fotografia, mezzo adatto per la propaganda visiva dei manifesti, per riviste e libri illustrati, per murali delle mostre.

Nel grande confluire di idee dovettero convergere al Bauhaus anche tutte le forme possibili di aberrazione fotografica, persino le singolari figure solarizzate con i loro strani effetti di rilievo lineare e spaziale.

La fotografia ha dato un notevolissimo contributo alla formazione artistica attuale, utilizzata, infatti, in modo frequente dagli artisti più giovani permetteva la coesistenza simultanea degli stili artistici più diversi.

La tecnica della riproduzione fotografica si è lentamente allargata da divenire una caratteristica della pittura contemporanea.



CAPITOLO TERZO



IL DADAISMO

Il Dada a Zurigo

Il Dadaismo rappresenta, tra tutte le avanguardie storiche, quella di maggior provocazione e di maggior diffusione internazionale.

Tanto che con il Dadaismo si intrecceranno problematiche più ampie e poetiche di segno diverso, contatti iniziali con il Futurismo, con l'Espressionismo Berlinese e con il movimento Surrealista.

Da un punto di vista storico, il Dadaismo nasce a Zurigo nel 1915/1916, secondo la biografia fatta da Hans Richter (uno dei promotori e uno dei teorici più importanti, dopo Tristan Tzara, a cui va il merito di aver elaborato "i manifesti" del movimento), e si esaurirà dopo il 1919.

Questa corrente nasce in Svizzera, in un paese non sconvolto dalla guerra, per l'incontro di straordinarie personalità intellettuali ed artistiche, tra cui Hugo Ball, colui che trasformerà un'osteria di Zurigo nel famosissimo "Cabaret Voltaire", Hemmy Hennings, Georges Janco, Marcel Janco, Tristan Tzara, Richard Huelsenbeck, Hans Richter, Hans Arp.

La parola Dada fu un'abile invenzione pubblicitaria, con la quale si vuole indicare un po' tutte le caratteristiche intrinseche del movimento : la gratuità, il gioco di spirito, il non senso e soprattutto, un'apparente ingenua assimilazione dell'arte della vita.

In realtà la connotazione filosofica del movimento, al di là delle manifestazioni pubbliche che scandalizzavano per le loro provocazioni teatrali, musicali e artistiche, era straordinariamente profonda e per la prima volta in maniera pragmatica, l'opera d'arte presentava come "figura" fondamentale della sua comunicazione, una "forma mentale" un "concetto", piuttosto che un'immagine.

Ai suoi inizi il Dada non si distingueva molto nettamente dalle tendenze d'avanguardia alla moda.

E' solo in seguito, soprattutto affrontando il pubblico, che definì il proprio atteggiamento fondamentalmente negativo.

Le prime opere dadaiste zurighesi erano ancora "astratto-figurative" e abbastanza tradizionali, sia pure nella loro straordinaria provocazione.

Il movimento Dada nasce perciò come rivolta intellettuale e come conseguenza dello sconvolgimento sociale, dopo la prima guerra mondiale, quando tutti i valori umani apparivano irrimediabilmente travolti dalla logica orrenda del grande conflitto.

Il Dadaismo e il Surrealismo saranno gli unici due avvenimenti dell'avanguardia storica che oltre alla "rivoluzione visiva", proporranno anche una "rivoluzione culturale".

Il Dadaismo, invece di proporre nuovi atteggiamenti stilistici, contestava soprattutto la sperimentazione di tipo formale. Diventa obbligatorio lo scandalo, gridare il proprio disgusto e rompere i ponti con tutto ciò che era collegato all'arte e al passato.

Il fine ultimo di questo "movimento" era di seminare la confusione nei generi, ridurre le frontiere fra le arti e impadronirsi del materiale fino a quel momento considerato estraneo all'arte: filo di ferro, fiammiferi, oggetti e ferri di ogni genere, tra cui anche la fotografia.

Il numero 3 della rivista "Dada" segnò la rivolta rivoluzionaria del movimento, una volta operato il collegamento con Francis Picabia, che rappresentava lo spirito dada di New York con la propria rivista "391" dove, apparve il Manifesto Dada 1918 di Tristan Tzara in cui si affermava :

-"Qualsiasi prodotto del disgusto suscettibile di trasformarsi in negazione della famiglia è DADA" ;

- protesta a suon di pugni di tutto il suo proprio essere teso nell'azione distruttiva : DADA ;

- presa di coscienza di tutti i mezzi repressi finora dal sesso : DADA ;

- abolizione della logica, balletto degli impotenti della creazione : DADA ;

- di ogni gerarchia di equazione sociale di valori stabilita dai servi che bazzicano tra noi : DADA ;

- ogni oggetto, tutti gli oggetti, i sentimenti e il buio, le apparizioni e lo scontro inequivocabile delle linee parallele, sono armi per la lotta :DADA ;

- abolizione della memoria : DADA ;

- abolizione dell'archeologia : DADA ;

- abolizione dei profeti : DADA ;

- abolizione del futuro : DADA ;

- fede assoluta irrefutabile in ogni "dio" che sia il prodotto immediato della spiritualità : DADA.

Scrive Tristan Tzara : manifesto dada 1918 in "manifesto del Dadaismo"

"...Quelli che dipendono da noi restano liberi". Noi non ci basiamo su nessuna teoria. Ne abbiamo abbastanza delle accademie cubiste e futuriste, laboratori di idee formali. Forse che l'arte si fa per soldi o per lisciare il pelo dei nostri cari borghesi ?...

Nella corrente dadaista, dice Tzara, che un quadro è l'arte di far incontrare due linee, parallele per constatazione geometrica, su una tela, davanti ai nostri occhi, secondo la realtà di un mondo basato su altre condizioni e possibilità.

Questo mondo non è specificato ne definito nell'opera, appartiene nelle sue innumerevoli variazioni allo spettatore.

Per il suo creatore non ha cause ne si basa su teorie. Ordine = disordine, io = non io, affermazione = negazione, splendore supremo di un'arte assoluta, assoluta nella purezza di un caos cosmico e ordinato.

La parola "Dada" è simbolo del rapporto, assolutamente primitivo con la realtà che ci circonda : con il dadaismo una nuova realtà si fa posto.

La vita appare come un caos simultaneo di colori e di ritmi spirituali, che l'arte dadaista accoglie in se senza scomporsi, in tutta la sua brutale realtà, con tutte le sue grida sensazionali e l'ansia febbrile di aderire coraggiosamente alla vita di ogni giorno.

Qui sta il bivio che distacca il dadaismo da tutte le correnti d'arte esistenti fino a quel momento.

Dada è contro la letteratura, contro la poesia, contro l'arte, contro tutto ciò che si è fatto passare per eterno, bello, perfetto è contro le correnti artistiche "moderniste", l'espressionismo, il cubismo e il futurismo.

Dada vuole l'uso del "Materiale nuovo della pittura"

Dada è un lato dello spirito ; essere dadaisti significa lasciarsi in balia delle cose, essere contrari ad ogni sedimentazione.

Dada vuol dire essere liberi. Tutto ciò è dunque una rivolta totale contro ogni aspetto della civiltà attuale, Dada vuole distruggere tutto per ricostruire in modo diverso.

I dadaisti scrissero innumerevoli manifesti, colorando ciascuno il concetto di Dadaismo, secondo il proprio temperamento, che si volse in due direzioni, da un lato verso l'attacco nichilistico e violento contro l'arte, e l'altro verso i giochi, le mascherate e le buffonate.

Picabia e Man Ray produssero perfette opere dadaiste di aggressione, in soggetti come il "ritratto di Cezanne" di Picabia, una scimmia impagliata, oppure il "Cadeau" di Man Ray, un comune ferro da stiro con il fondo chiodato.

L'arte era divenuta una valuta deprezzata, una faccenda puramente per intenditori, il cui gusto dipendeva soltanto dal temperamento.

Quando Marcel Duchamp nel 1913 montò una ruota di bicicletta capovolta su uno sgabello e nel 1914 scelse il suo primo "ready-made", uno scola bottiglie, si scatenò una disputa che fu in seguito alimentata dal Dada.

Il gesto dell'artista era quello di elevare il comune oggetto prodotto in serie, al grado di opera d'arte allo stesso livello.

La scelta del ready-made dipende dall'oggetto in genere, quando lo si osserva si deve giungere a qualcosa di simile a una indifferenza tale che non provi alcuna emozione estetica detta indifferenza visiva, assenza di gusto, buono o cattivo che sia.

Francis Picabia cominciò a fare disegni di macchine sotto l'influsso di Duchamp, sviluppando la metafora, sesso-macchina ; pubblicarono il suo primo disegno sulla rivista di Alfred Stieglitz "Camera Work" nel 1913 al tempo dell'Armory Show di New York, primo vero assaggio della progredita arte europea.

Duchamp e Picabia si unirono a un gruppo di poeti e pittori sovversivi che comprendeva John Covert e Man Ray.

Dada fu adottato anche da alcuni pittori esuli che si erano rifugiati in Svizzera per trovare scampo alla guerra.

Il ritrovo principale era in un "Night club letterario" organizzato da Hugo Ball all'inizio del 1916.

Scrive Hans Arp, pittore, scultore e poeta membro del gruppo Dada :

"...A Zurigo nel 1915, avendo preso interesse ai macelli della guerra mondiale, ci volgemmo alle Belle Arti.../...Cercavamo un'arte essenziale che avrebbe, pensavamo salvato l'umanità dalla follia omicida di questi tempi.../...Questa arte è diventata a poco a poco oggetto di bisogno generale..."

I dadaisti a Zurigo comprendevano Hugo Ball, Hemmy Hennings, Hans Richter e Richard Huelsenbeck, provenienti dalla Germania, Hans Arp dall'Alsazia, Marcel Jancu e Tristan Tzara dalla Romania.

Il Dada esportato a Berlino con Richard Huelsenbeck, a Colonia con Hans Arp, poi ad Hannover dove fu incarnato da Schwitters.

Si diffuse anche ad Amsterdam, ma fu a Parigi che trovò il terreno più ampio, proprio quando Tristan Tzara vi si stabilirà nel gennaio del 1920 accolto come il messia del gruppo "Litterature" composto da : André Breton, Luis Aragon, Philippe Soupault, ai quali si era unito Paul Eluard.


Il Dada a Parigi

Fu il "Manifesto Dada" di Tzara nel 1918 che sedusse Andre Breton e gli altri membri del gruppo parigino "Litterature".

Tzara giunse a Parigi nel 1920 e con l'aiuto di Picabia, Breton e alcuni poeti, si apprestò a rendere nota a tutti la ribellione dadaista.

Il Dada fu conosciuto a Parigi fin dalla sua nascita, in circoli assai ristretti e riviste come "Sic" di Pierre Albert Birot e "Nord-Sud" di Pierre Reverdy che avevano ospitato gli scritti di Tzara.

Il Dada a Parigi durò due anni, nel 1922 una serie di dispute misero a nudo le differenze tra i vecchi dadaisti, Tzara e Picabia e il gruppo francese più giovane, che comprendeva Breton.

Forse questi ultimi non furono dadaisti del tutto, tentavano di organizzare progetti grandiosi che poco o niente avevano a che fare con il Dada.

Nel 1920 a Parigi una serie di manifestazioni furono la parte più attraente della storia del dadaismo, perché riuscivano ad avere una comunicazione autentica con il pubblico.

La stampa fu l'eco di ognuno di questi spettacoli dove, secondo un processo meccanico, il pubblico ingiuriato usciva dal suo mutismo abituale e si abbandonava alla gioia della propria spontaneità.

L'organizzazione di tali spettacoli presupponeva una grande riserva di energia da parte dei dadaisti che, rapidamente esauriti, cominciarono a manifestare i propri dissensi.

Sotto l'impulso di André Breton, Dada passava all'azione, designava le vittime e si mutava in giustiziere.

A partire da questo momento decorre la rottura fra la "violenza anarchica" di Dada (rappresentata in primo luogo da Tzara, Picabia, Ribemont, Dessaignes) e la "volontà organizzatrice" di coloro che, in seguito, fondarono il Surrealismo.

La serata Couer à Barbe (al teatro Michel, il sei luglio 1923) segnò la fine dell'attività dada nell'ambito pubblico, con l'intervento dei partigiani di Breton che interruppero la rappresentazione di un lavoro di Tzara.

Per lo sviluppo del Surrealismo, un avvenimento importante rientra nel periodo Dada parigino.

Si tratta di una mostra di collage di Max Ernst, nel 1921.

Breton e Aragon e gli altri dadaisti provarono un'esaltazione vedendo un nuovo genere di immagini poetica in sintonia con le loro idee.

Individuarono Ernst come probabile sfidante di Picabia, considerato dal pubblico parigino l'incarnazione del Dada.




Il Dada in Germania

Dopo la guerra il Dada si diffuse, con il disperdersi dei dadaisti di Zurigo, in altre parti d'Europa.

A Colonia nel 1919, Johannes Bargeld e Max Ernst furono raggiunti da Arp, dopodiché, come affermò Arp, produssero "i più bei frutti dell'albero Dada", frutti che comprendevano i "Fatagaga", collage fatti da Arp e Ernst in collaborazione, montaggio di vignette o di fotografie preesistenti ritagliate da giornali e combinate reciprocamente in rapporti nuovi, in modo da generare una reazione psicologica inconsueta nello spettatore, agendo sul suo inconscio ed esprimendo il mondo interiore dell'artista.

Tra i "collages" cubisti e i fotomontaggi di Ernst c'è differenza, quelli cubisti sono ordinati secondo precise ricerche armoniche ed estetiche, quelli di Ernst secondo ricerche psicologiche ed espressive.

Diversi ancora quelli "berlinesi" che hanno funzione politica e i collages di Arp, dettati soprattutto da una voluta casualità.

Nella Germania del dopoguerra il Dada assunse un ruolo più chiaramente politico.

Fu a Berlino che la potenzialità Dada per l'azione politica si avvicinò di più alla realizzazione.

Si formò un gruppo Dadaista che annoverava tra i suoi membri Hannah Hoch, Johannes Baader, George Grosz, Wieland Herzfelde e suo fratello John Heartfield, Raoul Hausmann e Huelsenbeck.

Il Dada si presentò a Berlino con un serio problema di identità.

Come reazione a questa situazione, i dadaisti deviarono la loro opera di nuovo verso il contatto con la vita reale con la trasformazione del collage in fotomontaggio.

I dadaisti a Berlino si fecero chiamare "Monteure", montatori o aggiustatori, in contrapposizione agli artisti.

Dopo che il Dada ebbe cessato di esistere in Germania, Heartfield continuò a usare il semplice montaggio fotografico per attaccare il crescente potere del nazismo.

Ad iniziare il "movimento Dadaista" nella città di Hannover, sarà Kurt Schwitter, che a partire dal 1917-18 svilupperà per tutta la sua vita una concezione dell'arte del tutto originale, chiamata "Merz" (con il nome "merz", derivato casualmente dalla parola "commerz", commercio, Schwitter intitolerà tutte le sue opere, costituite da oggetti di scarto, biglietti dell'autobus, pezzi di legno o di ferro, chiodi, piume, francobolli, sassi, bottoni, tappi, frammenti di giornali, buste ecc.).

Questi "collages" erano lasciati al caso.





Il Dada negli Stati Uniti

Le più grandi novità nel campo dell'arte figurativa avvengono invece negli Stati Uniti a New York, tra il 1915 e il 1920, indipendentemente da quanto stava avvenendo in Europa, soprattutto per merito della straordinaria genialità di Marcel Duchamp, della attività promotrice di Alfred Stieglitz, della sua rivista fotografica "Camera Work", nonché della sua galleria "291" e di artisti di notevole importanza quali Francis Picabia e ancor più Man Ray.

Marcel Duchamp rappresenterà per gli artisti americani e non solo, uno dei "padri riconosciuti" dell'arte contemporanea, alla quale nessun altro ha imposto un radicale mutamento (nuovi orizzonti al fare artistico).

L'importanza dell'artista per l'arte contemporanea è del tutto eccezionale, egli costituisce l'anello di congiunzione tra le avanguardie e le neo avanguardie, vale a dire tra le profonde rivoluzioni formali ed estetiche prodotte negli anni compresi tra il 1910 e il 1930 e il clima artistico determinatosi tra il 1960 e il 1970 in America e in Europa.

L'influenza di Duchamp sarà determinante in due direzioni, nell'ambito dell'arte "Pop", nel suo momento iniziale, definito "New-Dada" (inizio anni sessanta) e nella poetica del concettualismo (anni settanta).

La rivoluzione formale delle sue opere, consiste soprattutto nello spostamento del significato che riguarda le opere-oggetto ("Ready-made", già fatti).

Con il semplice atto di collocare un oggetto banale, quotidiano, in uno spazio consacrato all'arte, una galleria o un museo, Duchamp decreta che l'oggetto è diventato un'opera d'arte, abbattendo tutte le convinzioni secolari dell'arte con un gesto ironico e beffardo dettato da una profonda e lucida conoscenza dell'arte.

Diverse appaiono invece le opere di Picabia, pittore francese, passato attraverso esperienze impressioniste, Fauves e Cubiste. Entrerà a far parte del gruppo di artisti che facevano riferimento a Duchamp, che proprio a New York, stava aprendo l'avventura americana del dadaismo.

Le opere di Picabia saranno sempre caratterizzate da una forte componente "antiestetica", che consisteva nel mettere in discussione tutto l'insieme di valori che connotano tradizionalmente l'opera d'arte : la pulizia formale, le armonie e il senso della piacevolezza visiva.

Importante sarà anche l'attività di Man Ray soprattutto dopo il 1917 con i suoi "Ready-made".

Il Dadaismo dava gli ultimi segni di vita, esaurendosi intorno al 1923 per essere sostituito dal "Surrealismo".





Dada e fotografia

Per quanto riguarda i rapporti fra Dada e la fotografia, la tecnica prediletta dai dadaisti era il fotomontaggio.

Furono i primi a dedicare la loro attenzione alla fotografia come tecnica che produceva illusionisticamente il reale e per stravolgerne il linguaggio si metteva in evidenza la meccanica e di conseguenza il disprezzo per l'artista tradizionale.

La fotografia è intesa come impronta fisica di una presenza, ritagliata o combinata e integrata con oggetti artistici differenti.

Le "Images trouvees" , frammenti di realtà sotto forma di fotografie, servono all'artista Dada per scandalizzare il pubblico.

Il fotomontaggio veniva ad identificarsi con l'automatismo pittorico ; l'accostamento istantaneo di immagini irrazionali era tanto esaltato dai dadaisti quanto dai surrealisti.

I dadaisti non attaccarono solo i valori estetici dell'opera d'arte, ma anche l'uso economico che solitamente se ne faceva, si dichiararono contrari al mito dell'artista, pensando che l'atto creativo fosse un privilegio per pochi ma possibile per molti.

A tale proposito essi si sforzarono, con le armi della provocazione di confondere il senso delle tradizionali norme artistiche, accostando ad esempio tra loro i materiali più eterogenei (quali ferro, giornali, fotografie) nel tentativo di ricavarne un insieme compatto.

Furono tentativi che diedero vita ai poemi simultanei e ai fotomontaggi dadaisti attraverso la pura spontaneità creativa, rompendo ogni legame con il passato, per non essere in alcun modo influenzato.

La fotografia venne inserita sulla tela come documento di realtà, e presentata sotto l'aspetto del fotomontaggio, assunse esattamente, in linea col pensiero del movimento, un valore di provocazione e di rottura : dopo tutto il collage consiste nel fare a pezzi qualcosa di vecchio allo scopo di far nascere qualcosa di nuovo.

La ricerca di un nuovo materiale, da utilizzare in pittura, si orienta verso la fotografia.

La fantasia Dada prese subito confidenza con questo nuovo mezzo espressivo con il quale si esaltava il fatto che tutti possono creare.

Questo movimento così dissacratorio cominciò a creare proprio nel momento in cui cominciò a distruggere.

In tale contesto entra in gioco la tecnica del fotomontaggio, tecnica in sintonia con le idee dadaiste.

La vera innovazione visiva del Dada berlinese fu rappresentata dal fotocollage (fotomontaggio per collage di immagini).

Non a caso, nelle prime esposizioni dadaiste del 1920 il fotocollage fu il genere più frequente.

Il fotocollages berlinesi si distinguono per una forte venatura satiricopolitica, che vuole costituire una denuncia contro il potere.

Il materiale maggiormente utilizzato era costituito dalle illustrazioni dei giornali, elementi figurativi di stretta attualità erano così miscelati e ricomposti per sostenere le esigenze di critica sociale espresse dai dadaisti.

John Heartfield fu l'artista più in sintonia con le ideologie sopra descritte.

La tecnica del fotomontaggio venne via via affinata da Heartfield, che creò un legame tra immagine e parola, inseparabili l'una all'altra.

Se consideriamo i fotomontaggi di Heartfield, notiamo che non si ha soltanto l'espressione della realtà, ma anche il giudizio personale come inevitabile che nel caso di Heartfield rispecchia il punto di vista della classe operaia.

L'incisività della sua tecnica è esaltata dall'integrazione pittorica, operata con pennello e pistola a spruzzo, che favorisce l'unione dei vari soggetti.

Nella concezione di Hausmann che fu una delle personalità più attive del Dada berlinese, fotografia e pittura avevano lo stesso peso artistico.

Sono stati proprio i dadaisti a servirsi della fotografia per fare arte : la fotografia è un mezzo moderno, al passo con le esigenze attuali ad accessibile a tutti, adatta inoltre ad annullare la tradizionale immagine dell'artista come genio isolato, irraggiungibile dell'uomo comune.

L'attività di Hausmann non fu costante, ma spaziò in diversi campi. Si interessò di fenomeni ottici, luminosi e dell'emissione infrarossa.

Sperimentò la sovrimpressione, indagò il corpo umano tramite la fotografia, creando figure deformate per mezzo di collages.

A differenza di Heartfield, Hausmann, non fonde e non nasconde i vari ritagli che compongono le sue opere : nelle sue immagini l'assemblaggio delle diverse parti è sempre riconoscibile.

Per concludere il fotomontaggio, all'interno dell'avanguardia Dadaista, ricoprì la funzione di elemento di rottura nei confronti dei vecchi linguaggi espressivi e svolse un ruolo notevole in campi quali la pubblicità, la propaganda, la satira politica e l'illustrazione giornalistica o artistica.


John Heartfield

John Heartfield appare come un artista che con le proprie mani e la propria immaginazione, si è fatto interprete esemplare della realtà di un'epoca.

Certamente fin dalla sua adesione al partito comunista tedesco (KPD) nel1918, Heartfield ebbe come obiettivo quello di mettere la propria pratica artistica al servizio della diffusione del proprio ideale.

I fotomontaggi di Heartfield, nacquero dalla necessità di agire in profondità, sulle masse, a partire da una pratica che favoriva un intervento rapido.

Secondo Heartfield, l'artista tradizionale non ha più la capacità d'intervenire concretamente in un epoca caratterizzata dalla lotta feroce e continua che oppone il proletariato alla borghesia.

Egli coglie perfettamente l'impatto che possiedono i nuovi supporti offerti dallo sviluppo dei mass media.

Ricoprendo le superfici con manifesti e copertine (di libri o di riviste) egli attua il loro dirottamento ed utilizza la loro forza nell'ambito della circolazione delle idee a vantaggio degli ideali difesi dalla classe operaia in lotta.

Ogni elemento che compone il fotomontaggio riflette fedelmente la realtà.

Nella maggior parte di questi, il testo e immagine si compenetrano reciprocamente creando un nuovo rapporto fra l'ambito della scrittura e quello dell'immagine.

Heartfield usò dunque il fotomontaggio come strumento polemico con grande coerenza ed audace accortezza.

Alla base di queste realizzazioni vi erano diversi materiali, quali riviste, foto selezionate e tagliate e poco o non affatto ritoccate.






CAPITOLO QUARTO


IL SURREALISMO

Il surrealismo nasce ufficialmente a Parigi nel 1924 con il primo "Manifesto Surrealista" del poeta André Breton, che spiegava con ricchezza di esempi il significato del movimento.

Breton da una definizione del surrealismo anche in modo sintetico (quasi da dizionario), aggiungendo perfino accanto al nome la formula abbreviata s.m., sostantivo maschile.

"Surrealismo, s.m. Automatismo psichico puro mediante il quale ci si pone di esprimere sia verbalmente, sia per iscritto o in altre maniere, il funzionamento reale del pensiero; e il dettato del pensiero, con assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di là di ogni preoccupazione estetica o morale".

Il Surrealismo si basa sulla fede nella realtà superiore di alcune forme di associazione prima d'ora trascurate, fede nell'onnipotenza del sogno, nel gioco disinteressato del pensiero. Tende ad eliminare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirvisi nella risoluzione dei principali problemi della vita.

È dunque il tentativo di esprimere "l'io" interiore in piena libertà come è realmente senza l'intervento della ragione che, mettendo in atto meccanismi inibitori, dovuto all'insegnamento che riceviamo fin dalla nascita, ci condiziona obbligandoci a reprimere istinti e sentimenti, a nasconderli, seppellendoli nel più profondo di noi stessi.

Il Surrealismo non si limita a trascrivere passivamente il segno, non si esprime attraverso simboli, cerca piuttosto di scoprire il meccanismo con il quale opera l'inconscio, mettendo a nudo il processo intimo, non soltanto durante il sonno, ma anche durante la veglia, mediante "l'automatismo psichico", lasciando in altre parole che un'idea segua l'altra senza la conseguenza logica del ragionamento consueto, ma automaticamente : una parola ce ne fa venire in mente un'altra completamente diversa ; così una forma, un colore, una luce ne suscitano altre.

Breton suggerisce il metodo per ottenere una "composizione surrealista scritta", che dovrà essere creata di getto, senza ripensamenti.

E' facile notare la somiglianza con quanto aveva detto Tzara circa la composizione dadaista, ma è facile anche notarne la profonda differenza : la poesia dadaista colloca le parole una dopo l'altra seguendo solo il caso, ossia l'estrazione a sorte di parole ritagliate, la concezione surrealista invece è ben diversa perché la scelta delle parole avviene senza l'intervento della ragione, anzi proprio per questo è dettata dalla psiche e sarà quindi rivelatrice della nostra autentica realtà, una realtà superiore, una "sovra-realtà" che in francese viene detta "sur-realitè", "surrealtà".

L'origine culturale del Surrealismo è da ricercarsi nel clima intellettuale di Parigi, negli ultimi sviluppi del Dadaismo e nel circolo della rivista "Literature" alla quale collaborarono Breton, Aragon, Soupault e gli stessi Duchamp Picabia e Max Ernst.

Ma l'azione dadaista è esclusivamente negativa e legata al drammatico momento storico vissuto dell'Europa negli anni della guerra, mentre il Surrealismo riprende il tema della libertà totale da ogni condizionamento esterno.

Molte di quelle che saranno le idee, le tecniche, le invenzioni formali del movimento erano state, infatti, anticipate dai dadaisti, ma l'origine profonda del Surrealismo non può non richiamarsi anche alle straordinarie intuizioni di De Chirico (metafisica), e prima ancora alle visionarie immagini dei pittori "simbolisti" e addirittura da quei pittori medioevali e manieristi.

La novità del Surrealismo sta nella consapevolezza storica e "scientifica" della ricerca fantastica e onirica, motivata dalla stessa psicanalisi di Freud particolarmente studiata da Breton che sosteneva la necessità di liberare nella maniera più diretta e più automatica, senza censure, il ricordo dei propri sogni e di proiettare il più velocemente possibile sulla carta o sulla tela, sotto forma di scrittura o di pittura, le forze soffocate dall'inconscio.

"L'arte surrealista" doveva così diventare uno strumento per scoprire altre dimensioni, quella del sogno e quella della follia.

Per la ricerca di libertà, anche il Surrealismo, come molte correnti di avanguardia, si colloca politicamente a sinistra, collegandosi idealmente a Freud per la liberazione dell'individuo, a Marx per la liberazione della collettività.

L'adesione al comunismo, non fu del tutto sostenuta, poiché per i surrealisti l'arte doveva servire fondamentalmente a "rendere liberi", e la libertà non poteva essere concepita che come libertà individuale e sociale.

Come molte correnti artistiche d'avanguardia (futurismo e dadaismo, per esempio) prima di essere un movimento artistico, il Surrealismo è una concezione di vita, creata da letterati (Breton, Aragon, Eluard, Soupault).

Nel manifesto di Breton, la pittura fu nominata solo in una postilla.

Significativo fu il titolo della serie più importante di articoli che scrisse Breton, "Surrealismo e Pittura" (1927), e non "Pittura Surrealista".

La pittura ebbe un rapporto tangenziale con il nucleo dell'attività surrealista.

Breton definisce due vie principali aperte all'artista surrealista : in primo luogo l'automatismo e secondariamente "la fissazione Trompe-l'oeil delle immagini oniriche".

Il Surrealismo diventa movimento artistico solo più tardi con l'adesione di vari pittori ai quali verrà dato ampio spazio e per il quale nel 1926 verrà creata a Parigi la "Galleria Surrealista".

Fra i principali surrealisti ricordiamo (oltre ad Ernst, Duchamp e Arp) Man Ray, André Masson, Joan Mirò, Pierre Roy, Yves Tanguy, René Magritte, Paul Delvaux, Salvador Dalì, Sebastian Matta, Arshile Gorky.

Non è un gruppo omogeneo rispondente a un unico programma, anzi, ognuno sviluppa il tema fondamentale secondo la propria personalità, con divergenze anche profonde che si possono sintetizzare in almeno due filoni principali, quello che parte da immagini che derivano dalla realtà giornaliera, anche se prive di coordinamento logico usuale, come avviene nei sogni e quello che giunge ai limiti delle forme astratte non per ragionamento costruttivo e organizzatore di esse, ma per scelta istintiva, o meglio, per usare un termine surrealista, per scelta automatica.

Tra le "invenzioni" formali del Surrealismo vanno ricordati i fotomontaggi e i "frottage" di Max Ernst, le visioni oniriche di De Chirico, gli accostamenti paradossali di Man Ray, i giochi di non-sense di Magritte, l'automatismo decorativo di Masson, le astrazioni primordiali di Mirò, le apparizioni placentarie di Tanguy, le mutazioni antropomorfiche di Delvaux, le nature morte impossibili e "paranoiche" di Dalì.

Tutti i metodi espressivi, in fin dei conti, vengono utilizzati dai surrealisti, da quelli figurativi a quelli dell'assemblaggio e del collage, da quelli organizzati e controllati a quelli volutamente casuali, il che sta a significare una profonda "incoerenza complessiva del movimento", diviso, per quanto riguarda il metodo rappresentativo, tra libertà totale dei segni, e il richiamo all'ordine.

Il Surrealismo è infine, una delle poche avanguardie storiche che non si siano esaurite rapidamente ma che, anzi, abbia rivestito un ruolo primario nello svolgimento della pittura del nostro secolo fino ad oggi.


Surrealismo e fotografia

Il surrealismo si propone di indicare una realtà superiore, soprannaturale, in cui si dissolve la contraddizione tra sogno e realtà, la "surrealtà".

L'opera surrealista non riproduce la realtà nella sua apparenza fenomenica, va oltre la visione reale, cerca di penetrare in modo più profondo nell'essere, cercando una visione più mentale.

Con il Surrealismo e automatismo psichico puro ci si proponeva di esprimere sia verbalmente, sia per iscritto, o in qualunque altro modo, il funzionamento reale del pensiero, senza il controllo esercitato dalla ragione.

Le tecniche che permettevano la protezione del mentale, erano il " frottage" e il "collage" largamente usate da Max Ernst e Man Ray, i primi due artisti propriamente surrealisti.

Man Ray in particolare si servì della fotografia in modo più intenso, egli sembra aver sperimentato tutto, dal sistema più convenzionale, all'invenzione più libera.

Per Man Ray, gli strumenti utilizzati non contano in se, ciò che conta è l'idea che guida il lavoro dell'artista è "l'atteggiamento fotografico".

Il gesto fotografico di Man Ray non avanza nessuna pretesa formale, ma si dichiara gesto "oggettivo" o di conservazione.

L'oggetto non è proposto come oggetto in sé, da contemplare nella sua forma, ma come stimolo per risalire al momento dell'idea.

I "rayographs", immagini realizzate per semplice interposizione dell'oggetto fra la carta sensibile e la carta luminosa, non furono un esasperato esercizio di composizione formale, ma un metodo per indagare gli oggetti e riproporli con una velatura di mistero.

Breton contestò la caratterizzazione delle "rayografie" come astratte e la distinzione fatta tra la fotografia senza macchina fotografica alla Man Ray e quella realizzata con gli obiettivi fotografici normali.

Breton ha posto la fotografia nel cuore delle pubblicazioni surrealiste, in quanto le tre delle sue maggiori opere "narrative" appaiono illustrate da fotografie.

La fotografia divenne la risorsa visiva essenziale di pubblicazioni come "La Révolution surréaliste", "Minotaure", "Le Surréalisme au service de la Révolution", "Documents", "Marie", "VVV", "Le Surréalisme meme", ed anche di altre.

Oltre a ciò, la corporeità dell'oggetto veniva capovolta nel regno del surreale.

Particolare importanza nella poetica dadaista assumono il ready-made, Duchamp innalzava ad opere d'arte oggetti prodotti industrialmente come uno "scolabottiglie" e un "orinatoio".

Togliendo l'oggetto dal suo contesto e collocandolo in quello dell'arte, attribuendogli uno statuto artistico, da il via ad una nuova coscienza percettiva sperimentale, ridimensionando il concetto tradizionale di arte.

I ready-made diventano quindi opere d'arte nella misura in cui Duchamp li definiva come tali.

Ciò venne applicato anche alla fotografia ; la macchina fotografica, con la sua fedeltà documentaristica, era il mezzo espressivo per fissare gli objet trouvés che rappresentò in qualche modo la continuazione surrealista del "ready mades" adatta a documentare "l'incontro casuale di una macchina da cucire con un ombrello su un tavolo operatorio".

Due realtà (macchina da cucire e ombrello) si trovano assurdamente in un luogo dove tutte e due si sentono estranee (il tavolo operatorio), sfuggendo così dalla propria identità. "Accoppiamento di due realtà in apparenza inconciliabili su un piano che in apparenza non è loro conveniente".

Tema a cui man Ray dedicò una sua celebre fotografia.

Il problema era quello soprattutto di come utilizzare artisticamente la scoperta dell'objet trouvé.

Nel caso di una piccola composizione o addirittura di un oggetto solo, si poteva correre alla già nota tecnica del ready made.

Trattandosi invece di un objet trouvé piuttosto grande o che per qualsiasi motivo non poteva essere isolato dal suo contesto, era meglio fissare questa composizione poetica in una fotografia più che in un quadro.

La macchina fotografica era quindi il mazzo espressivo ideale per fissare in immagini questi casuali objets trouvés

La fotografia surrealista sfrutta la relazione tra fotografia e realtà, perché è considerata come un impronta del reale : la lastra fotografica costituisce una "traccia".

Se si pensa alla fotografia come ed una "traccia", si esclude l'ipotesi dell'icona, a cui invece sarebbe più facile pensare, (le icone hanno un rapporto con l'oggetto basato su criteri di somiglianza che corrispondono a quelle del referente ; sono come i disegni e i diagrammi).

I disegni e i quadri sono delle icone, mentre le fotografie sono degli indici (e un indice l'impronta lasciata sulla sabbia, la testimonianza di una "presenza" passata).

Il mezzo fotografico serve così a creare un paradosso : l'opera c'è, ma è come se non ci fosse, tale è la sensazione di trovarci di fronte al reale.

Max Ernst

Max Ernst condivise con John Heartfield il merito di aver portato la tecnica del collage a un livello altissimo.

Stimolato dagli accostamenti suggestivi di fotografie e fotoincisioni negli opuscoli pubblicati e nei cataloghi di vendite, Ernst vide in essi una successione allucinante di immagini contraddittorie, che aspettavano di essere intensificate con l'aggiunta di una linea, un paesaggio, un tocco di colore, in modo da trasformare, come egli stesso disse, le pagine banali di un annuncio pubblicitario nei sogni che rivelano i propri più segreti desideri.

Molti dei collages più rilevanti di Ernst risalgono al periodo tra il 1919 e il 1920, negli anni successivi egli continuò a usare la stessa tecnica utilizzando sia fotografie sia incisioni tratte da fotografie, spesso cambiandole con altri elementi di collage, disegni e dipinti.

Max Ernst affermò che con tali tecniche era ora possibile fotografare sia sulla carta sia sulla tela le meravigliose sembianze grafiche di pensieri e di desideri.

A partire dalla seconda metà del 1920 la parte di elementi usati nei collage diviene più importante.

Per rendere il collage irriconoscibile, spesso Ernst, ne fa delle stampe fotografiche, accontentandosi di firmare quelle.

Ernst considerava le riproduzioni (i clichés fotografici) come opere definitive.

Il collage effettuato con materiale fotografico non interessa Max Ernst in maniera esclusiva.

Nel corso dell'anno 1921 egli comincia a limitarsi a un solo tipo di collage, il che significa che egli è ricorso a un materiale iniziale abbastanza costante, tanto che rinuncerà alla fotografia.

Fra i collage in cui Max Ernst utilizza la fotografia si possono distinguere due categorie :

1)quelli in cui l'elemento fotografico è utilizzato come mezzo per far scomparire il collage.

2)quelli in cui l'elemento fotografico è utilizzato per un collage.

I due procedimenti si limitano ad alcuni mesi.

Il primo (la fotografia come mimetizzazione) è sostituito a partire dal 1921 con dei procedimenti fotografici.

Il secondo (la fotografia come elemento di collage) è utilizzato solo alla fine degli anni Venti, per un breve periodo : quattro fotomontaggi nella rivista "Varietés", identificati per la prima volta come opere di Max Ernst.

André Breton, nel 1927, sottolineò la superiorità degli elementi usati da Ernst per i suoi collage su quei prosaici surrogati di tele e di materiale pittorico usati dai cubisti.

Secondo il fondatore del surrealismo le immagini di Ernst hanno un'esistenza relativamente indipendente e soltanto la fotografia può partecipare alla strana logica delle sue disparate combinazioni di forme.

Anche Luis Aragon tentò di stabilire una distinzione fra il tipo di collage solitamente creato dagli artisti dada e i collages fatti da Ernst stesso.

I primi miravano più all'introspezione che non alla scoperta dei mezzi, al "sistema" che evoca le risposte più profonde.

Aragon attribuisce a Ernst la più grande intelligenza del potere fondamentale insito nel fotomontaggio che più si allontana dal papier collé.


Man Ray

Per Man Ray, la fotografia costituì indubbiamente il fondamento principale (insieme alla pittura) di tutta la sua attività artistica.

Dopo essersi spostato da New York a Parigi nel 1921, all'età di trentun'anni, Man Ray occupa un posto essenziale nel movimento dada e surrealista.

Già dagli articoli apparsi nel 1911 in "Camera Work" (nota rivista di Stieglitz) si suppone che Man Ray si interessasse ai sogni e all'inconscio associati alla creatività visiva, fondamenti della cultura surrealista.

Verso la fine del 1915, Ray comincia le sue prime esperienze fotografiche e a sperimentare le prime tecniche di collage, alternandole alla tecnica dell'aerografo che non abbandonò mai.

Gli amici di Man Ray più influenti a New York erano Duchamp e Picabia.

Man Ray, a New York era noto per essere un "dadaista", ed era inevitabile che nel 1921 si sentì attratto dall'Europa.

A Parigi si inserì in quella cerchia di artisti la cui figura dominante era André Breton, e altri come Marcel Duchamp, Tristan Tzara, Luis Aragon, Paul Eluard e Gala (che allora era la donna di Eluard), Hans Arp e Max Ernst.

In questo stesso anno 1921 ebbe luogo la prima esposizione di Man Ray, evento "postdadaista" e "postsurrealista".

Fu durante questo primo anno a Parigi che Man Ray inventò la "rayografia", tecnica fotografica senza macchina fotografica, e poco tempo dopo cominciò a utilizzare la solarizzazione.

A partire dal 1923 divenne un fotografo noto per i suoi ritratti.

Grazie alla fotografia, egli esprimeva ciò che vi era in lui di meno premeditato e di più naturale.

Fu proprio il Surrealismo che diede a Man Ray un'attrazione particolare e costante per il classicismo, permettendogli di disfarsi dell'ambivalenza con cui era caratterizzato negli ambienti avanguardistici europei degli anni Venti.

Lungo tutto il corso degli anni Venti e Trenta, Man Ray collaborò a numerosi progetti con i pittori e poeti surrealisti a Parigi. Egli illustrò libri ed articoli con le proprie fotografie e fotografò gli stessi artisti da diversi punti di vista.

Egli frequentava in quel periodo : André Breton, Max Ernst, Salvador Dalì, Hans Arp, Yves Tanguy, René Char, René Crevel, Paul Eluard, Giorgio de Chirico, Victor Brauner, Benjamin Peret, Guy Rosey, Joan Mirò, E.L.T. Mesens e George Hugnet.

In un certo senso Man Ray restò più fedele allo spirito dada di quando non lo sia stato a quello surrealista.

Dada si serviva delle idee e degli oggetti fabbricati per farne il materiale potenziale di un teatro dell'assurdo, una fonte inesauribile per associare gratuitamente all'estetismo ciò che, per natura, non lo è.

Man Ray era senza dubbio troppo impregnato di classicismo per aderire totalmente all'agnosticismo culturale del surrealismo, tuttavia, fin dagli inizi degli anni Venti, egli ha creato delle immagini di cui, a buon ragione, si può dire, oggi, che hanno preparato il terreno per lo sviluppo dell'ideologia surrealista la quale raggiunse la sua piena maturità negli anni Trenta e Quaranta.

Durante tutta la sua vita Man Ray ebbe un atteggiamento ambiguo nei confronti delle sue fotografie, lasciando a volte intendere che era soprattutto un pittore che poteva dedicarsi ad altri generi.

Egli era altrettanto capace di rivendicare fermamente la propria produzione fotografica quanto di disprezzarla.

Più di una volta, egli fece allusione al "disprezzo" che occorreva per fare un'opera d'arte con un arsenale tecnico insensato.

Man Ray continuò a realizzare degli oggetti inanimati per le sue fotografie, non come delle metafore, ma, il più delle volte, per illustrare gratuitamente certe idee sull'arte.

Rappresenta anche il corpo umano, che diviene il principale veicolo del suo progetto estetico.

Man Ray si eleva molto spesso al di sopra di un semplice livello ossessivo per lo sfruttamento più generale di una sessualità idealizzata.

Man Ray cominciò a servirsi regolarmente di una macchina fotografica a partire dal novembre 1915, dopo la sua prima esposizione importante di quadri, in quanto aveva bisogno di fotografare i suoi dipinti per la stampa.

Poco dopo, cominciò a fare ritratti che erano stati concepiti, secondo lui, per ragioni finanziarie.

Il suo primo cliché-verre fu realizzato nel 1917.

L'immagine era creata direttamente sul negativo, una tecnica su cui ritornò più volte nel corso dei dieci anni futuri.

La prima rayografia fece la propria apparizione nel 1921, e l'attività più realmente surrealista iniziò nel 1924 con sette foto che apparvero nel primo numero di "La Révolution surréaliste" in dicembre.

Il surrealismo in quanto filosofia generava un rapporto con l'oggetto di una particolare tensione.

Per un surrealista, l'oggetto non esisteva o aveva importanza solo nella misura in cui se ne aveva coscienza.

L'oggetto surrealista era antiutilitario. Man Ray affronta nella maniera più profonda, il problema dell'oggetto surrealista, evitando il procedimento surrealista sempre problematico che consiste nell'associare volontariamente delle immagini senza alcun rapporto per suscitare attraverso l'assurdo, la sorpresa o l'idea della non-utilità, egli giunse a un senso in altro modo più fondamentale e irresistibile dell'inutile modificando o intensificando l'apparenza della realtà, nella sua struttura.

Le Rayografie

Le Rayografie fatte senza macchina fotografica, queste immagini realizzate per interazione diretta dalla luce con dei prodotti chimici, risolsero le difficoltà che egli aveva di presentare l'oggetto reale in modo da assumersi la responsabilità della sua corporeità facendola capovolgere nel regno del surreale.

La traccia dell'oggetto, abitualmente identificabile almeno in modo rudimentale, si mostra come essa è con questo procedimento.

Operando come un'ombra proiettata, fenomeno che Man Ray impiegò come un talismano a partire dal momento in cui cominciò a fare delle foto, e semplice residuo senza corpo della forma esterna della cosa registrata grazie a una semplice reazione fotochimica, la rayografia superava la fotografia classica nella sua trasformazione univalente dell'oggetto reale in segno o traccia.

In un suo scritto del 1938, Man Ray definisce il rayogramma come :

"fotografia ottenuta per semplice interposizione dell'oggetto fra la carta sensibile e la fonte luminosa".

In occasione dell'esposizione del 1962 L'oeuvre Photographique presso la Biblioteca Nationale di Parigi, Man Ray diede un'altra definizione di questo procedimento fotografico :

"A partire dal 1921 eseguii dei rayogrammi.

Ecco su quale principio si basa il rayogramma, che oggi viene qualche volta denominato, e secondo me a torto, fotogramma.

Si posano al buio, a piacere, sopra un foglio di carta sensibile, gli oggetti più diversi, e si proietta su tutto un raggio luminoso.

Gli oggetti posati sulla carta ne proteggono la superficie sensibile e lo stesso fanno le loro ombre, in proporzione diretta della propria intensità. Quando si sviluppa la carta così tratta, il rayogramma compare in forma di sagoma bianca e secondo tinte che sfumano con una delicatezza mai vista.

L'effetto che ne risulta è del tutto particolare. Si obietterà che questa non è una vera fotografia. In effetti, ne la camera oscura ne l'obiettivo vi hanno a che fare. Il rayogramma è un procedimento ai margini della fotografia e di cui ciascuna prova rappresenta in certo modo un originale.

Le rayografie dunque fissano la silhouette di oggetti ordinari : fiammiferi, imbuti, cavatappi, piume, bottoni, spaghi, matite, ecc., mettendoli direttamente sulla carta fotografica ed esponendola brevemente alla luce.

Man Ray scoprì per caso questo metodo nel 1922, mentre lavorava in camera oscura.

Non si tratta propriamente di un'invenzione, ma della ricoperta del "disegno fotogenico" che l'inglese William Henry Fox Talbot, uno degli inventori del "negativo-positivo", aveva utilizzato verso il 1830.

In Man Ray la fotografia è soprattutto registrazione della luce.

Sono le luci che gli forniscono il materiale su cui lavorare.

La sua arte opera sul passaggio dal bianco al nero e sui loro rapporti reciproci.

Di qui l'importanza dei grigi, delle luci soffuse e dell'attenzione con la quale li tratta.

Una caratteristica importante della fotografia di Man Ray è la sua relazione col tempo, in quanto la fotografia è il regno dell'istantanea, il tempo si blocca e le situazioni sono congelate in un breve istante.

Nell'istante della fotografia in Man Ray tutto è suggerito e niente è detto, dove interviene il tempo dell'immaginazione o quello del sogno.






CAPITOLO QUINTO






IL COSTRUTTIVISMO ASTRATTO

La pittura astratta è nata, appunto, dal desiderio di rivaleggiare - sul proprio particolare terreno - in pieno rigore, ma anche in piena libertà, con le suggestioni della musica (è il caso di Kandinskij) o con l'idea dell'architettura (come nel caso di Mondrian).

Questi due estremi indicano, nello stesso tempo, i suoi limiti e la sua portata.

Il termine di "astrattismo" è, in un certo senso, ambiguo e si presta ad essere discusso.

L'astrazione rappresenta il punto d'arrivo d'un processo antinaturalistico.

Il primo acquerello dichiaratamente astratto di Kandinskij (macchie di colore giustapposte dinamicamente senza intenzioni figurative) è del 1910.

A partire dal 1913, le esperienze limite dell'astrattismo si realizzano in Russia :

dal raggismo di Larinov e della Goncarova, al costruttivismo di Tatlin, dal nonoggettivismo di Rodcenko al suprematismo di Malevic, che culminò nel famoso quadrato nero su fondo bianco.

L'altro campo di espansione dell'astrattismo è l'Olanda, con Mondrian e il movimento "De Stijl" che, in opposizione alla tendenza organica e lirica di Kandinskij, originatesi dal Fauvismo e dall'Espressionismo, cristallizza nel 1917 la tendenza intellettuale e geometrica derivata dal Cubismo.

Negli anni delle due guerre mondiali, l'astrattismo, combattuto dal surrealismo, attraversa un periodo in cui si alternano le eclissi e le ricomparse.

Picabia e Delaunay ritornano all'arte figurativa.

Una prima esposizione internazionale di arte astratta è organizzata a Parigi nel 1930 da M.

Seuphor e Torres Garcia (gruppo e rivista "Cercle et Carré").

Dal 1932 al 1936 il gruppo "Abstraction-Création" pubblica un album annuale, e raccoglie fino a quattrocento membri.

Dal 1937 al 1945 la stessa atmosfera bellica favorisce la voga dell'espressionismo a scapito dell'astrattismo che, tuttavia, si ripresenta più vivo che mai in tutti i paesi dopo il 1945, confrontato, fra l'altro, dal ritorno spettacolare di Picabia.

Bauhaus

Nall'ambito dell'area astratto-costruttivista assume un ruolo particolare il Bauhaus.

Uno dei più importanti architetti contemporanei, Walter Gropius fonda a Weimar nel 1919, lo "Staatliches Bauhaus" (Bauhaus = casa della costruzione) il cui "manifesto" inaugurale terminava con queste parole : "Vogliono creare delle nuove corporazioni di artigiani estranei a quell'orgoglio di categoria che eleva un muro di superbia tra artigiani e artisti.

Dobbiamo volere, immaginare, preparare in comune il nuovo edificio dell'avvenire, che unirà armoniosamente Architettura, Scultura e Pittura ; e questo edificio s'innalzerà per le mani di milioni di operai nel cielo futuro, emblema cristallino della nuova fede nell'avvenire".

L'ambizione del Bauhaus è quella di ricondurre all'unità perduta le diverse arti, sotto il primato di un'architettura moderna, di ristabilire le discipline artigianali ed artistiche, così da renderle del tutto concordi in una nuova concezione dell'arte costruttiva.

Lo scopo finale era l'opera d'arte unitaria, la grande Opera, dove non si distingueva più l'arte architettonica da quella decorativa.

Il Bauhaus fu, al contempo, una Accademia di Belle Arti e una scuola di Arti e Mestieri ; tuttavia lo spirito che vi circolava era molto più largo e moderno che non nei vecchi retrogradi istituti che portavano quei nomi ; era un centro completo di insegnamento e di cultura artistica di grande portata spirituale.

A fianco di Gropius, infatti, i principali insegnanti erano pittori di primo piano :

Lyonel Feininger, Paul Klee, Oscar Schlemmer, Wassili Kandinskij, Laszlo Moholy-Nagy, che consacrano al Bauhaus il meglio della loro attività. Klee insegnò la teoria, poi la pittura su vetro e l'arazzo che si confacevano al suo stile ; l'essenza del suo metodo è riassunto nel suo libro di schizzi pedagogici (pubblicato nel 1925).

Anche Kandinskij tenne lezioni di teoria generale ed ebbe insegnamenti particolari di composizione astratta e di pittura applicata all'architettura.

L'attività di questi due artisti ebbe, nel Bauhaus un'immensa risonanza ; ma, malgrado la loro volontà di disciplina "stilistica" rimaneva aperta una certa autonomia tra il loro istinto "romantico" e la tendenza nettamente architettonica e purista che dominava il gruppo, a cui meglio potevano accordarsi Feininger, Schlemmer e Moholy-Nagy.

Questi ultimi due rinnovarono, secondo lo spirito del Bauhaus, la lavorazione del metallo e delle materie prime, le arti del teatro e del balletto, della fotografia, della tipografia, e della pubblicità.


Astratto-Costruttivismo e fotografia

La fotografia si adattava perfettamente al programma creativo dei costruttivisti russi, proprio perché mezzo adatto alla propaganda visiva dei manifesti, riviste, libri illustrati e per i muri delle mostre.

L'entusiasmo dei dadaisti per il fotomontaggio arrivò a Mosca (e al Bauhaus di Weimar) subito dopo il 1920 e probabilmente attraverso quel grande viaggiatore russo che fu El'Lisickij, e Alexandr Rodcenko fu uno dei primi russi a servirsi del nuovo mezzo per illustrare alcune fra le prime pubblicazioni della poesia di Majakovskij.

El'Lisickij, che fece grande uso del fotomontaggio fra il 1920 e il 1940, fu probabilmente il primo a creare fotomontaggi di giganteschi murali, come elemento integrante degli interni da lui ideati per i padiglioni sovietici alle esposizioni internazionali.

Alexandr Rodcenko fu uno dei membri più attivi dell'avanguardia sovietica il quale, intenzionato a utilizzare l'arte come strumento di lotta per la nuova società, ricercò attraverso tutta la sua produzione, la funzione ottimale dell'oggetto prodotto in forme che corrispondono alle esigenze del nuovo ordine sociale.

Ora Rodcenko giunse alla fotografia dopo aver superato i limiti della pittura : i suoi "ultimi quadri", datati 1921, sono monocromi.

Fu nel contesto della pubblicità e della propaganda che Rodcenko prese coscienza della potenza dell'immagine e reinvestì il campo del figurativo, giungendo alla fotografia tramite il fotomontaggio.

A livello fotografico Rodcenko fece uso del dettaglio, dei forti contrasti fra luce ed ombra, della sovrapposizione realizzata sia dall'apparecchio, sia sovrapponendo due negativi ed infine del montaggio.

Se i fotomontaggi trovano la loro potenza nelle eterogeneità della costituzione e nella violenza degli accostamenti, Rodcenko raggiunse, nel reportage, un'espressività altrettanto efficace, come dovuta al caso.

Nell'ambito del Bauhaus possono distinguersi, soprattutto due approcci alla fotografia : la concezione di Laszlo Moholy-Nagy che considerava la fotografia come strumento di controllo della percezione e dell'organizzazione della realtà e della concezione di Walter Peterhans per il quale la fotografia era intesa come verifica dell'immaginazione.

Nell'uno la fotografia costituisce il mezzo ed è dinamica, nell'altro, la fotografia è la finalità e tende ad essere statica.

Laszlo Moholy-Nagy

Moholy-Nagy , ungherese di nascita, pur rimanendo sempre pittore e designer, divenne la figura di primo piano della fotografia tedesca degli anni Venti.

L'attività di fotografo assorbì solo una piccola parte della sua vita. Egli realizzò film e audaci sculture di luce, fu grafico e scenografo, ma l'aspetto più originale di tutta la sua opera fu proprio la fotografia.

Intuì che la fotografia poteva arricchire temi molto comuni di un nuovo contenuto emotivo, addirittura metafisico, interpretando le esigenze dell'epoca e le nuove teorie della luce, sullo spazio e sulla psicologia.

Formato artisticamente nel gruppo MA (oggi) di Budapest, Moholy-Nagy fu assai vicino alla filosofia costruttivista russa.

Egli capì che bisognava superare i limiti tradizionali della fotografia, fabbricando immagini tramite la luce.

Nei rayogrammi di Man Ray vi è spesso ironia o illusione, mentre nei fotogrammi (immagini senza macchina fotografica su carta fotosensibile) di Moholy-Nagy, non vi è soggetto concreto.

Nell'universo fotografico di Moholy-Nagy, gli elementi negativi, le ombre e i motivi non rappresentano nulla di reale, la luce e la trasparenza possono manifestarsi liberamente (improvvisazione).

In Man Ray, gli elementi e gli oggetti che vanno a creare la composizione fotografica sono pochi e lasciati al caso, mentre in Moholy-Nagy sono numerosi ed ogni elemento è al servizio dell'insieme.

Gli elementi sembrano galleggiare sott'acqua o dissolversi nello spazio che diviene quasi tangibile.

Moholy-Nagy si servì volontariamente di messe a fuoco sfocate, dove gli elementi diventano irriconoscibili, le forme si confondono e suggeriscono un'altra realtà difficile da percepire.

La macchina fotografica era per lui lo strumento per comunicare al grande pubblico la sua personale visione dell'epoca.

Moholy-Nagy fa emergere la differenza fra "immagine ottica" della macchina fotografica e "immagine concettuale" dell'occhio umano.

Nuove sono le tecniche di ripresa usate, come le inquadrature dall'alto o dal basso, pose molto veloci, stampe in negativo per alterare la realtà, primissimi piani per trasmettere sfumature psicologiche e la realizzazione dei fotogrammi.

Il fotogramma apre nuove prospettive su un linguaggio visivo completamente sconosciuto e governato da leggi proprie.


CAPITOLO SESTO



L'ARTE CONCETTUALE

Il termine "concettuale" compare per la prima volta nel 1966-67 nell'ambito del gruppo inglese Art Language, per indicare l'operazione artistica intesa come pura produzione mentale.

Joseph Kosuth, Robert Barry, Douglas Huebler, Lawrence Weiner e Sol Le Witt, tutti artisti appartenenti all'area concettuale, operano in una dimensione mentale dell'opera d'arte.

La scomparsa dell'oggetto fisico era, dunque, la condizione fondamentale per attivare una dimensione linguistica sostitutiva, che rappresentasse l'arte per essenza, per metafora o per illusione.

Le esperienze dell'Arte Concettuale, dell'Arte Povera, della Land Art, della Body Art, costituiscono la testimonianza di un trapasso di enorme portata da un periodo artistico all'altro, vale a dire della cultura pittorica-informale degli anni Cinquanta e quella analitica e comportamentale degli anni Sessanta Settanta.

Ciò che li accomuna è la ricerca di una dimensione anti-oggettuale dell'arte, determinata da una volontà di dare maggiore risalto ai componenti teorici e filosofici, nonché comportamentali del fare artistico.

Il fondamento filosofico che caratterizzerà tutte queste operazioni fa riferimento ad una logica del senso e della razionalità.

Nuove sono le operazioni dell'arte (sostituzione di oggetti con parole, di pittura con corpi, di sculture con territori) che hanno il compito di mettere in crisi i significati e i contenenti tradizionali dell'arte.

L'arte concettuale tenderà a riproporre l'attenzione al valore di "relazione" dell'opera d'arte con la realtà, mediante un processo "mentale" che comporta la progettazione stessa dell'opera d'arte.

A Duchamp, va il merito di aver mutato per sempre la natura dell'arte, da una questione di forma a una questione di "concezione".

Il movimento dell'arte concettuale avrà una notevole diffusione internazionale e si presenterà sotto diversi aspetti formali e teorici. Si possono distinguere diversi movimenti separati, Arte Povera, Body Art, Land Art e il Comportamentismo.

I primi artisti a seguire l'Arte Concettuale sono : gli americani Kosuth, Victor Burgin, Robert Barry, Lawrence Weiner, il tedesco Beuys, gli inglesi, facenti parte alla rivista "Art-Language" (Harold Hurrel, Terry Atkinson, Michael Baldwin e Deid Bainbridge) e ancora Dan Graham, On Kawara i francesi Daniel Buren, Bernard Venet, Mel Ramsden, Hanne Darboven, Hamish Fulton.

Joseph Kosuth, sviluppa in tre modi diversi il problema della "concettualizzazione" dell'oggetto, la prima soluzione consiste nello scrivere il nome dell'oggetto con l'oggetto stesso (per esempio la scritta, realizzata in neon), la seconda nel sostituire l'oggetto con il suo nome (per esempio la parola Watch al posto di un'immagine di un orologio), la terza nel presentare l'oggetto accanto a una fotografia dell'oggetto stesso e dell'ingrandimento della sua definizione presa da un vocabolario.

La posizione di Kosuth, nell'ambito del concettuale è da iscrivere nell'area detta concettuale-analitica che comprende una ricerca diretta sul linguaggio.

Nel 1969, il gruppo inglese "Art e Language", accentua il valore sostitutivo della parola.

Le loro opere consistevano in pagine scritte di contenuti teorici e filosofici.

Una variante particolare dell'Arte Concettuale è la Body Art, l'arte del corpo che tende a spostare l'attenzione dell'opera d'arte, all'artista stesso.

I protagonisti di questa variante sono Urs Luthi (con il suo travestimento), Gina Pane (che si ferisce davanti agli spettatori), Hermann Nitsch (che faceva partecipare il pubblico all'uccisione e allo smembramento di corpi di animali), Gilbert e George (che recitavano il ruolo di "statue viventi").

Molti altri artisti sperimentarono la Body Art, come lo stesso Beuys, De Dominicis, Vito Acconci e Ben Vautier.

Joseph Beuys è forse il più significativo rappresentante del concettualismo europeo e una delle figure più singolari del panorama artistico degli anni Settanta, sia per il periodo oggettuale (composizioni povere) sia per i suoi Happening.



L'arte Concettuale e la fotografia

Nell'Arte Concettuale, i pittori e i nuovi artisti compiono un processo "analitico" e "autoriflessivo", che sottopone a verifica gli strumenti linguistici che si usano dopo aver spostato i procedimenti espressivi o rappresentativi a quelli riflessivi.

La pratica "analitica" si sposta in ambiti diversi, come alla fotografia, intesa come strumento di investigazione del reale, datata di un proprio linguaggio.

La fotografia assume negli anni Settanta, un ruolo di primissimo piano in quanto essa tende a porre in questione la diffusa opinione, propria del senso comune, che attribuisce alla fotografia la capacità di produrre immagini perfettamente analoghe alla realtà.

La pratica analitica nella fotografia compie un'operazione di azzeramento linguistico fino a rinunciare alla stessa camera. Moholy-Nagy, ci da un'interpretazione analitica, senza camera fotografica come fece precedentemente Cristian Schad (Schadografie) e poi Man Ray (Rayografie).

Schadografie, rayografie, fotogrammi tendono, in definitiva, a ridurre il linguaggio fotografico ai suoi elementi primi e si collocano pertanto agli inizi di una pratica della fotografia che possiamo definire appunto analitica in quanto non si preoccupa tanto di rappresentare il mondo esterno, quanto di analizzare il proprio stesso linguaggio.

Gli artisti fanno ricorso a una serie di tecniche, quali il fotomontaggio, la solarizzazione, il negativo, l'uso di lenti deformanti, di obiettivi speciali, mettendo in crisi le attese dello spettatore, provocando una sorta di "ginnastica mentale", che sposta l'attenzione della cosa rappresentata ai segni linguistici di cui è costituita l'immagine.

Il fotomontaggio soprattutto, consente agli artisti di proporre una rappresentazione inedita, fondata sull'accostamento di frammenti di immagini fotografiche estratte da contesti diversi e accostate in modi inediti e inaspettati.

L'accostamento di parole e immagini, sia sulla base di una loro concordanza o contrasto, rappresentano un'altra tecnica di spostamento del messaggio fotografico nell'ambito referenzialistico, naturalistico, propriamente attribuitole dal senso comune, a un ambito più specificatamente analitico, critico-autoriflessivo.

In alcune declinazioni recenti della fotografia (quelle che sono definite "Narrative Art"), la relazione tra parola e immagine non tende però a creare un effetto di spostamento, di ascendenza surrealista, ma vuole costituire un senso compiuto, un racconto, proponendo paradossi logici, non-senses linguistici e incongruenze narrative.

Nelle fotografie narrative, le immagini si dispongono invece in uno spazio proprio, mentre le parole ne occupano un altro del tutto separato dal primo, sulla base di un ordine compositivo che assegna al testo il ruolo di didascalia, di esplicazione delle immagini.

Nelle opere delle Narrative Art, testo e immagini risultano quindi spazialmente separati ma nello stesso tempo stretti in una relazione di ordine mentale, che inserisce i dati verbali a quelli visivi in un contesto narrativo in cui l'elemento immaginario relega in secondo piano la corrispondenza immediata tra immagine e realtà.

La relazione si instaura tra due serie linguistiche, quella visiva e quella verbale.

L'immagine fotografica entra a far parte della struttura narrativa dell'opera, affidandosi alle sue proprietà specifiche di rappresentazione diretta di una situazione.

Si stabilisce una sorta di divisione dei compiti, l'immagine si incarica di ancorare il racconto ad una determinata situazione spazio-temporale, che si identifica con il presente ; la parola, sottratta da impegni descrittivi dispone il filo sottile e tortuoso della narrazione, facendo da raccordo tra presente, passato, futuro.

La fotografia insomma agisce da pedana di Lancio per i meccanismi del racconto della memoria e della libera associazione.

Le "arti figurative", tradizionalmente attribuite al dominio del visivo, recuperano una componente verbale, scritturale, sempre più marcata, tanto che per alcune esperienze compiute in questa direzione si può parlare di "un'arte come scrittura".

In altri casi, la componente verbale (titolo, didascalia, iscrizione) entra nello spazio dell'immagine, si situa accanto ad essa, si iscrive nella stessa grafia che definisce l'immagine.

A volte il verbale e il visivo raggiungono un perfetto equilibrio scambiandosi reciprocamente le funzioni.


CAPITOLO SETTIMO


CONCLUSIONE

Come emerge dall'analisi dei primi due capitoli svolti ("La fotografia", "La trasgressione del moderno" e "Gli artisti e la fotografia"), l'invenzione della fotografia e il suo perfezionamento nei primissimi anni, si è avuta non ad opera di scienziati, ma principalmente ad opera di pittori ingegnosi, interessati alle scoperte degli scienziati.

Daguerre prima di diventare fotografo fu un pittore molto sensibile a quelle che erano le tendenze del suo periodo.

William Henry Fox Talbot, prima di dedicarsi al perfezionamento del metodo fotografico di Nièpce, era dedito all'arte, anche se in forma dilettantistica, facendo largo uso della camera oscura sin dagli anni Venti per ottenere disegni di paesaggi quanto mai naturali e descrittivi.

Joseph Nicèphore Nièpce, invece, non fu un pittore in prima persona, ma assecondava il figlio pittore nell'uso della litografia fin dal 1813.

La fotografia nasce dunque come risposta all'esigenza ben precisa di registrare e fissare direttamente e stabilmente su un supporto l'immagine ottenuta per mezzo della camera oscura.

La fotografia poteva essere perciò un valido supporto nell'arte pittorica, come dimostrano antichi pittori, che si servivano di mezzi più rudimentali per riportare le immagini sulle quali essi intervenivano mediante la pittura dandone un'impronta personale.

Le prime reazioni alla nascita della fotografia furono entusiastiche, successivamente, quando i fotografi cominciarono sempre più a manifestare la volontà di far rientrare la fotografia nel circolo delle arti così dette "belle", diventarono sempre più negative.

Artisti e critici cominciarono ad attaccare la fotografia, accusandola di aver causato un appiattimento degli stili in pittura.

Fu forte l'influenza sulla pittura paesaggistica : la gente richiedeva la stessa precisione di raffigurazione della fotografia a di conseguenza, i quadri di paesaggi finirono per assomigliare sempre più alle fotopaesaggiste dell'epoca.

L'uso della fotografia non è importante solo nella pittura figurativa, essa divenne di grande ausilio anche nell'arte astratta.

Il 1860 è l'anno dell'istantanea : la fotografia riesce a vedere più di quanto sia capace l'occhio umano, come ad esempio la posizione delle gambe di un cavallo in corsa.

Il suo espandersi va di pari passo con l'evolversi della pittura impressionista.

La fotografia continua a progredire fino a costruirsi una strada artistica per proprio conto, diventa essa stessa "Arte" e i suoi prodotti, opere d'arte.

I pittori d'avanguardia vedevano nella fotografia una liberazione : non si sentivano più costretti a rappresentare "qualcosa" con le loro immagini ; erano nati il Cubismo e l'Arte Astratta.

Fra questi pittori emerge il nome di Stieglitz, che nel 1907 scatta il primo esempio di fotografia "staigh" cioè "diretta", non pittorialista, genere che segna il passaggio alla fotografia moderna.

Con l'arte Concettuale, la fotografia si stacca da ogni legame con la realtà pittorica per acquisire gradatamente un linguaggio suo, non legato a tecniche particolari, ma che abbia in sé dei valori indiscutibili dal punto di vista concettuale, spostando l'attenzione dalla "sfera artistica" volta alla pura e semplice realizzazione dell'oggetto a quella "estetica", in cui confluisce anche il coinvolgimento psicologico.

Sono evidenti, per concludere, le influenze tra le due arti figurative, come scrisse Scharf :

Abbondano gli esempi di artisti che si ispirano, per le loro concezioni formali, a fotografie che erano già state influenzate da dipinti e di fotografie che si ispirano a dipinti nei quali erano già insiti elementi formali della fotografia.

Oggi, possiamo finalmente ritenere concluso il dibattito creato tra fotografia e pittura, potendo individuare un'autonomia di linguaggio della fotografia in arte.


CAPITOLO OTTAVO



DUPLICI APPARIZIONI

Immagini che appaiono e scompaiono si materializzano in giochi di ombra e di luce, di movimento e di staticità apparente, su supporti di diversa forma e materia, legno, carta, tela e ferro.

Soggetti fotografici studiati in fase di ripresa, vivono racchiusi in desolati spazi prospettici quasi a diventare scenografie realizzate con tecniche diverse assemblate (olio, bitume, acrilico, gesso, china, matita e acquerello).

Superfici materiche finali, trasparenti o opache, lucide o opaline (cera, silicone, resina, vernici sintetiche), servono a dare percezioni diverse e una dimensione allusiva alla realtà della rappresentazione.

Bibliografia :

"Arte Concettuale" / "Fotografia analitica, Narrative Art, Nuova scrittura" (a cura di Filiberto Menna)

"L'Arte Concettuale Mondana" (a cura di Renato Barilli)

ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI BRERA



LA FOTOGRAFIA
NELL'ARTE CONCETTUALE

Tesi di diploma :

PAOLA BONOMELLI

Relatore : Andrea Del Guercio

Anno Accademico 1996-97

INDICE:

CAPITOLO PRIMO

  • La fotografia e la trasgressione del moderno (processo storico).....5

- "La nuova tecnologia"....15

- "Fotografia senza macchina fotografica" :....18

.Il fotogramma.....18

.Futuro della tecnica fotografica....18

.Il Tipofoto....19

- "L. Moholy-Nagy e la sua visione".....20

CAPITOLO SECONDO

  • Gli artisti e la fotografia (documentazione)......23

- "La fotografia dagli impressionisti in poi".....37

CAPITOLO TERZO

  • La pratica fotografica e l'area dadaista

- "Il Dada a Zurigo".....49

- "IL Dada a Parigi".....58

- "IL Dada in Germania"....61

- "Il Dada negli Stati Uniti"......64

- Dada e Fotografia ......67

- John Heartfield.....72

CAPITOLO QUARTO

  • La pratica fotografica e l'area surrealista......75

- Surrealismo e fotografia....82

- Max Ernst......87

- Man Ray :......90

Le "Rayografie".....94

CAPITOLO QUINTO

  • La pratica fotografica e l'area astratto

costruttivista....100

-"Il Bauhaus"......102

- Astratto costruttivismo e fotografia :....105

Laszlo Moholy Nagy.....107

CAPITOLO SESTO

  • La pratica fotografica e l'arte concettuale....111

- Arte Concettuale e fotografia......115

CAPITOLO SETTIMO

  • Conclusione......120
  • Bibliografia....126

CAPITOLO OTTAVO

  • Duplici apparizioni.....125