Nel corso dello sviluppo della propria
civiltà, l'uomo ha costruito determinati insiemi di credenze, di
convinzioni, di norme e di regole stabilendo dei sistemi. Sostanzialmente
il codice fotografico è esso stesso un «mini-sistema»,
con i suoi dati tecnici e con le implicazioni socio-culturali che comporta.
Esso fa parte di un più vasto schieramento di dati a disposizione
che si strutturano in sistemi più ampi e articolati.
Esistono i grandi sistemi ideologici,
quelli religiosi, quelli filosofici... Esistono i sistemi musicali e quelli
artistici; quelli politici e quelli professionali. Ogni gruppo di persone,
unificato da convinzioni e da comportamenti, da interessi e da finalità,
determina al proprio interno un nesso coerente tra idee, norme di comportamento
e pratica che ha lo scopo di raggiungere più efficacemente il fine
prefissato. Sistemi aperti e sistemi chiusi coesistono nella società
attuale: i primi richiedono solamente un'adesione in via di principio e
non fissano rigide norme di comportamento. I secondi (pensiamo ad un esempio
storico, la Carboneria) arrivano a fissare minuziosamente precetti e indicazioni
operative anche nei dettagli.
Ogni sistema ha i suoi adepti, i suoi
maestri ed una serie di « quadri intermedi» che assicurano
lo scambio delle informazioni da un livello all'altro.
Se le cose stanno così, cerchiamo di vedere. mantenendo il parallelo tra il linguaggio verbale-letterario e il linguaggio fotografico. quali sono le osservazioni che ci possono essere utili.
A livello letterario, lo strutturarsi di determinate regole che si propongono un dato comportamento ritenuto produttivo ai fini della «artisticità», comporta la nascita delle cosiddette «Istituzioni».
Cosa sono le Istituzioni, se non le norme codificate dall'uso, dalla tradizione, dall'autorità dai maestri, in «sistemi»?
La parola va intesa, evidentemente,
in senso letterario, e non politico (dove le Istituzioni sarebbero lo Stato
e gli organismi di direzione politico-amministrativa). Le Istituzioni,
nella tradizione classica della Iettatura, determinano delle norme didattiche
(desunte dall'esperienza e dalla «scuola dei maestri») che
servono a trasmettere di generazione in generazione (talvolta sempre uguali,
talaltra arricchite via via), una sapienza conservata dai « maggiori»
e utile all'azione. Abbiamo così assistito allo stabilirsi di canoni
fissi per la lirica, desunti dalle poesie petrarchesche; o di regole auree
per l'oratoria determinate proprio dalle normative della retorica.
Il difetto di queste istituzioni è
quello di tendere sempre più a trasformarsi in criteri assoluti
(mancando i quali non si dà artisticità ), in principi essenziali,
in regole fisse e talvolta mortificanti.
Anche la fotografia ha le sue Istituzioni? Oseremmo rispondere in modo affermativo, anche se esse non sono state codificate in un trattato definitivo. Si tratta piuttosto di criteri e di regole che viaggiano nell'aria e che vengono respirate in determinati ambienti. Pensiamo per un istante
a certi club fotografici, dove alcuni
feticci (presenza di toni puri, incisione, risolvenza in linee per millimetro,
messa a fuoco...) ricevono ogni settimana il riverente omaggio dei fedeli.
Oppure consideriamo gli ormai triti luoghi comuni delle cosiddette
regole per fotografare bene, che si propinano ai neofiti. O ancora, pensiamo
ai gusti imperanti, spesso lanciati da riviste o gallerie o concorsi, in
fatto di produzione d'immagini (con le varie epoche: quella del neorealismo
meridionalistico, quella del tono alto, quella delle pecore, quella del
simbolismo allegorico, quella del concettualismo... fino a giungere, recentemente,
a quella dello sperimentalismo).
Si stabiliscono così delle regole
non scritte che però servono ad ingabbiare entro schemi rigidi,
che hanno i loro santoni nei critici, nei giurati, nei direttivi dei fotoclub.
Queste regole hanno, ovviamente, i loro pazienti e spesso disorientati
cultori nei fotografi che si adattano, talvolta fino a sclerotizzarsi nella
rinuncia della propria personalità, annullata per compiacere le
regole del gioco. Cosa importa se le idee o i temi prediletti mal si conciliano
con un certo modo di fare fotografia? Si sacrifica I'originalità
sull'altare della certezza.
È evidente che norme così rigidamente costituite rappresentano delle gabbie mortificanti. Ma non è questa la vera funzione che dovrebbero assolvere. Se però le intendiamo nel loro scopo essenziale, esse ci possono servire come utilissime indicazioni per comprendere la cultura in cui ogni procedimento tecnico o ogni filone di produzione nasce e si sviluppa, il pensiero filosofico o comunque storico che vi fa da sfondo necessario, le regole tecniche e i procedimenti che consentono di ottenere determinati risultati. In tal modo, questo patrimonio rappresentato dalle convinzioni comuni, ci può essere utile per conoscere quello che è stato prima di noi innanzitutto.
Ma anche per verificarne lo spessore
culturale, la validità storica, le linee di tendenza, e per orientare
gli elementi che ne derivano secondo la propria attualita e le esigenze
del proprio gusto e della propria personalità, in una serie di norme
che diventano regole e riferimenti autonomamente assunti. Così,
di fronte all'atto di fotografare, ci si può porre nella disposizione
d'animo di chi ha sentito che a bisogna fare così, e si ripropone
acriticamente di ripetere i modelli che gli vengono proposti; oppure si
può vagliare la serie di norme proposte per estrarne quelle che
si avvertono più vicine e più produttive per la propria sensibilità
e per gli scopi che ci si prefigge. In questo caso, anche le Istituzioni
servono per capire il proprio tempo e per amalgamarvisi in maniera responsabile
e creativa.
Esiste un secondo atteggiamento nei
riguardi del fare artistico o comunque espressivo: è quello che
esclude tendenzialmente ogni serie di norme codificate. Invece di riflettere
sul come fare, questo atteggiamento tende a stabilire quali sono le condizioni
ideali per fare e giunge a concludere che precettistica e normativa non
hanno nessuna ragione d'essere, in quanto I'unica cosa che conta è
I'individualità, la genialità e l'intuitività. Non
ci si occupa quindi di accorgimenti stilistici, di norme tecnico-operative,
ma si cerca di suscitare la passione profonda, I'entusiasmo che supera
continuamente I'esercizio e il mestiere. Ci si pone quindi di fronte al
problema della comunicazione espressiva non badando affatto né alle
precedenti esperienze né all'ordine precostituito di certe norme
(che sono anche sociali e storiche). Ma anzi si scompiglia il tutto, privilegiando
la tendenza a disporre I'animo a grandezza, sollecitando la mente verso
le forze inesprimibili dell'irrazionale che conducono al furore creativo
e al genio.
L'esperienza ci insegna che questo
atteggiamento è assai diffuso nel panorama della produzione fotografica.
Il grande fotografo, il fotografo creativo, il genio della fotografia è
sempre più spesso l'espressione di un simile modo di porsi di fronte
al problema. La stessa epoca che viviamo, ricca di dubbi e povera di certezze, tende
a privilegiare un atteggiamento anarcoide, insofferente di schemi, spesso
oscuro nelle proprie giustificazioni e nei propri scopi.
Essenziale, a
questo punto, risulta il fare, in qualsiasi modo, con qualsiasi mezzo,
attraverso qualsiasi procedimento. Ché anzi, più il prodotto
appare incomprensibile, tanto più e spesso è considerato
creativo ed originale da chi è troppo pronto ad inchinarsi di fronte
a ciò che non comprende.
È così possibile, per
fare un esempio concreto, che qualcuno si trasformi in epigone della fotografia
all'americana, limitandosi alla vaga intuizione di alcune vene di soggettivismo
e di ambiguità di questo filone (peraltro storicamente e culturalmente
giustificato) per abbandonarsi alla casualità, al frammentarismo,
alla oscurità gratuità.
Eppure, anche questo modo sublime,
di accostarsi alla fotografica può essere utile, se considerato
nella sua funzione essenziale. Che non è quella di suscitare una
miriade di geni, quanto quella di sottolineare l'esigenza e la necessità
che ogni opera, ogni prodotto, sia un frutto personale e trasmetta, insieme
con i contenuti, anche una parte della personalità dell'autore.
È l'esigenza di svincolarsi da schemi imposti al di fuori della libera
scelta individuale.
È evidente che entrambi gli aspetti
che abbiamo analizzato, quello istituzionale, e quello sublime, sono ricorrenti
a fasi alterne nei vari periodi storici. Ma non è il prevalere dell'uno
o dell'altro a determinare il grado di inserimento di un autore nella cultura.
Eppure assistiamo spesso a giudizi di valore legati a quelle che Dorfles
ha definito le "oscillazioni del gusto": per cui oggi (in cui
appare prevalente il momento del genio creativo) sarebbe cultura un chimigramma
di Cordier o una sequenza di Duane Michals, mentre non sarebbe tale I'ultimo
servizio di Berengo Gardin fatto per il Touring. Salvo poi, magari tra
vent'anni, rovesciare il metro di giudizio e rivalutare il secondo nei
confronti dei primi.
Le oscillazioni del gusto, del resto,
sono riscontrabili addirittura nei confronti della produzione di un medesimo
autore: è giusto ritenere cultura I'intuizione creativa del fotografo
sperimentale e non considerare allo stesso modo le foto pubblicitarie che
lo stesso fotografo ha scattato per un cliente? La domanda è forse
oziosa: ciò che importa non è tanto definire valido culturalmente
un modo o un altro di produrre (che è necessariamente legato al
gusto di un'epoca e alle convinzioni prevalenti), quanto verificare, nella
maniera più oggettiva possibile, qual è la collocazione di
un autore nel quadro del proprio tempo e quali sono le cose che quell'autore
riesce ad esprimere, e con quale efficacia, intorno alla propria epoca.
Ci accorgiamo allora che la culturalità
di un prodotto o di un fotografo non sta nell'aderire ad una scuola che
è di moda o nel seguire un filone che tira, bensì nel conciliare,
in una sintesi armoniosa, la propria personalità, il proprio patrimonio
tecnico-operativo, le proprie convinzioni con il proprio fare nei confronti
del tema e delle idee che affronta.
Il problema centrale nella produzione
fotografica è rappresentato dal fatto di avere o meno una propria
visione del mondo e, al fondo di tutto, delle idee da esprimere e delle
cose da dire. In letteratura viene chiamato "poetica" il momento
di verifica di due fasi essenziali: da un lato la chiarificazione che ogni
operatore (poeta, fotografo, pittore...) fa del proprio universo sentimentale,
della collocazione nel quadro della propria epoca storica e del proprio
periodo, insieme alla chiarificazione delle convinzioni e dei messaggi
di cui si vuol fare portatore. Dall'altro, esiste la riflessione di ogni
operatore culturale sul proprio fare, che ne indica i sistemi tecnici e
ne individua i tratti espressivi. La poetica rappresenta quindi un momento
fondamentale per ogni autore che intenda comunicare: egli riflette su quello
che ha da dire, circoscrive il campo delle proprie convinzioni, indica
quali sono i mezzi espressivi di cui intende servirsi e sceglie, effettivamente,
la tecnica che gli consente di esprirnere la propria visione del mondo
o il suo pensiero di fronte ad una determinata realtà.
Non è necessariamente prescritto
che ogni fotografo debba teorizzare una propria verifica, come ha già
fatto qualcuno: ma crediamo che sia indispensabile approfondire, in maniera
anche non formale, i due momenti chiave che la costituiscono. Soprattutto
il primo, cioè la chiarificazione di una visione del mondo che,
in ultima analisi, è rappresentata dal fatto di sapere cosa si vuol
dire e perché lo si vuol comunicare.
È logico pensare che l'idea debba
precedere la comunicazione: altrimenti, che cosa si potrebbe comunicare?
Eppure cosa capita? Che un fotoamatore passa un sabato pomeriggio a caccia
di soggetti, fotografa decine di «momenti»
o di «particolari interessanti»
e poi... pensa a quale titolo potrebbe dare alla stampa che ne ricava.
Ciò significa anteporre il fare all'idea. E poi. ovviamente, lo
stesso fotoamatore si meraviglia se gli spettatori non riescono a capire
quello che voleva dire... « Rem tene, verba sequentur» scriveva
Orazio: cioè comincia ad avere le idee ben chiare, poi i mezzi per
esprimerle riuscirai a trovarli. Le idee, purtroppo, non si comprano nei
negozi di ottica come gli obiettivi ultraluminosi o le pellicole sensibilissime.
Occorre cercarsele, con fasi di studio, di riflessione, di approfondimento
(da condurre con la lettura, la discussione, il confronto, l'analisi).
Esse rappresentano la base imprescindibile per la riuscita di un discorso.
Solo dopo aver studiato a fondo il
proprio soggetto, dopo aver chiarito I'idea-guida che deve giustificare
un certo approccio, dopo esserci lungamente confrontati con essa; sarà
possibile iniziare a costruirvi attorno una impalcatura sufficientemente
organica che giustifichi il fare.
I vecchi manuali di retorica e di stilistica prevedono addirittura una sezione dedicata a quella operazione dello spirito per la quale si trovano e si raccolgono le idee, definita invenzione, e suggeriscono le varie fasi (osservazione, riflessione, educazione dei sentimenti, fantasia, lettura ecc.) del processo. Oggi molti studenti affrontano la composizione verbale e scritta attraverso nuovi schemi tassonomici.
L'accenno alle categorie generiche
della invenzione, non è destinato a proporre didascalicamente accorgimenti
macchinosi. È opportuno per sottolineare come da sempre sia avvertita
l'importanza di avere delle idee quando si è intenzionati a comunicare.
Occorre avere delle idee, possibilmente molte. Ma spesso troppe idee rischiano di rivelarsi contrastanti e di creare confusione: occorre dunque scegliere quelle che meglio si adattano allo scopo che si vuole ottenere.
Come fare? Evidentemente ciascuno avrà
definito un proprio modo di operare. Qui di seguito si propongono schemi
che presi a prestito dalla manualistica letteraria. Con ciò non
si intende proporre un itinerario operativo univoco: si vuole solo mettere
in evidenza alcune caratteristiche che sono state individuate come elementi
della comunicazione linguistica.
Ogni fatto di comunicazione ha delle
caratteristiche intrinseche. Alcune di essere sono elencate qui sotto:
ne esistono altre (desunte ad esempio da altri linguaggi), ma ciò
che importa è sottolineare come ciascuna di esse rappresenti un
fattore a disposizione... Ordine, proporzione, armonia, nesso logico, unità,
chiarezza, concisione, eleganza ecc. sono gli ingredienti della comunicazione;
come le sette note musicali, gli accidenti, le chiavi ecc. sono gli ingredienti
della musica.
In fase di preparazione, ognuno potrà
scegliere tra essi, secondo la propria sensibilità e il proprio
gusto, privilegiando un elemento a scapito di altri, o addirittura ponendosi
coscientemente in contrasto con le esigenze che qui sono indicate. Alla
fine, sarà la somma degli ingredienti opportunamente trattati dall'individuo
a determinare il carattere della sua comunicazione. È ovvio che un meccanismo
del genere non è richiesto ad ogni scatto: esso può essere
implicito, quasi un'abitudine acquisita. Ciò che conta è
che esso sia, nel momento dell'analisi, cosciente e, soprattutto, che sia
costante, in modo da consentire immediatamente la individuazione di uno
stile.
Le caratteristiche essenziali della
comunicazione, secondo i manuali di stilistica, sono dunque le seguenti:
vi sono idee che per loro natura devono
precedere tutte le altre e servire da preambolo o da esordio. Altre idee,
invece, servono meglio se poste alla fine del discorso. Oltre a concatenarle
insieme, è opportuno collegare idee e concetti sapendo distinguere
le cose principali da dire rispetto a quelle accessorie, per disporre le
principali nel giusto risalto e le altre come corollario informativo, pronti
ad eliminarle se dovessero rivelarsi ridondanti. È peraltro opportuno,
prima di mettersi a fotografare, predisporre uno schema, che può
essere anche solo mentale, ma nel quale ogni idea e ogni momento abbia
la sua giusta collocazione, dimensione e opportunità.
ogni concetto deve avere il suo giusto
sviluppo nel complesso del servizio fotografico. Ci sono cose che si possono
dire con una fotografia e altre che richiedono tre, quattro immagini. Si
dovrebbe però evitare che le idee secondarie prendano la mano e
riescano, alla fine, preminenti rispetto alle principali. La concisione
è una qualità sempre raccomandabile, anche se non può
e non deve essere confusa con l'oscurità determinata dal fatto di
tralasciare le cose essenziali.
è essenziale che l'occhio dello
spettatore sia guidato con chiarezza e con decisione lungo lo svolgersi
del discorso per immagini: l'oggetto della comunicazione deve emergere
in maniera chiara e logica. Vi è chi raccomanda di terminare con
un notevole crescendo, mentre altri suggeriscono di aprire in maniera forte
e di chiudere attenuando. Diremmo che non è molto importante: essenziale
è invece che da un'idea all'altra si passi per gradi di contiguità
o per salti che siano comunque comprensibili e giustificati; che gli accostamenti
siano efficaci e non arbitrari; che l'omogeneità del discorso sia
rispettata.
è una conseguenza delle caratteristiche
che abbiamo analizzato in precedenza ed una qualità essenziale alla
definizione di uno stile. Se, nell'ambito di un servizio fotografico considero
l'immagine come una singola frase, è evidente che non potrò
inserire nel discorso delle frasi che non hanno nessuna attinenza con ciò
che voglio comunicare. E, analogamente, all'interno della singola immagine,
sarebbe disturbante inserire elementi fuorvianti, che non hanno attinenza,
con l'idea di fondo. Ogni elemento dell'inquadrartura, come ogni immagine
della sequenza, deve essere riconducibile al tema della comunicazione.
Naturalmente,
queste regole di disposizione sono legate in gran parte al gusto e alla
personalità di chi fotografa: esse saranno in relazione diretta
con il modo in cui le idee, le immagini, i sentimenti sono da lui vissuti.
Ciò non toglie che esse siano di carattere talmente generale da
rivelarsi, in qualche caso, non solo utili ma addirittura chiarificatrici.
A questo punto, trovate le idee e disposte secondo un ordine logico, si pone il problema di esprimerle fotograficamente in maniera che sia possibile imprimervi un massimo di efficacia. Si pone quindi il problema dello stile, attraverso cui un fotografo può esprimersi.
Esistono tre componenti fondamentali che, coagulate tra loro, determinano uno stile: l'una è di carattere generale, l'altra è legata alla personalità dell'operatore la terza è determinata dal soggetto. Il primo requisito, quello di carattere generale, è definito nella stilistica classica in quella sezione che viene chiamata elocuzione. Anche qui il fatto di riferirsi a belle categorie classiche non significa voler proporre degli schemi rigidi, quanto proporre alla riflessione degli spunti che porrebbero rivelarsi utili e produttivi.
Perché si stabilisca uno stile,
le indicazioni di carattere generale sono dunque:
ogni fotografia, nell'ambito dell'intero
servizio fotografico, deve avere una giustificazione e deve esprimere qualcosa
in modo chiaro. Se l'immagine deve servire a comunicare qualcosa, occorre
che tutti riescano a capire. Per questo bisogna evitare ogni oscurità
voluta (tralasciamo l'oscurità inconsapevole di chi non ha chiaro
quello che vuole) ed ogni spunto eccessivamente inconsueto, ogni simbolismo
non ancora entrato nell'universale comprensione e ogni modulo ormai invecchiato
e dimenticato. Ciò non significa, ovviamente, che si debba privilegiare
la banalità: I'originalità può, essere giustificata
quando ha una precisa funzione e quando l'efficacia emotiva della «trovata»
riesca a superare l'iniziale difficoltà di comprensione da parte
dello spettatore.
il linguaggio fotografico ha precise
caratteristiche fisiche e meccaniche, psicologiche e anche sociali. Occorre
che l'immagine proposta sia universalmente comprensibile entro l'ambito
della cultura in cui si colloca: determinati artifici e interventi meccanici
nel procedimento (colorazioni manuali, interventi disegnati, ritagli, manipolazioni
ecc.) non sempre sono mezzi appropriati ad una efficace comunicazione in
quanto tendono talvolta a porsi al di fuori, di un linguaggio universalmente
riconosciuto. Così come è necessario adeguare l'uso dei fattori
specifici per il giusto scopo: può risultare controproducente l'uso
di un obiettivo là dove la consuetudine suggerisce di adoperarne
uno diverso. Naturalmente ogni regola ha le sue deroghe, ma ogni infrazione
ad un codice stabilito è giustificata solo se aggiunge efficacia
alla comunicazione.
ogni fotografo scatta delle immagini
avendo in mente uno spettatore ideale. Ebbene, l'uso dei mezzi espressivi
dovrebbe essere finalizzato alla massima efficacia nei confronti di questo
spettatore: per questo occorre scegliere gli elementi che si adattino alla
materia, al luogo, al tempo e alla forma della nostra comunicazione. È
evidentemente superfluo usare immagini fortemente didascaliche per un pubblico
di spettatori molto culturalizzato. Così come sarebbe inutile proporre
arditezze concettuali ad un pubblico di bambini. Oppure inserire una fotografia
di tono lirico-estetico in un contesto fotografico di carattere scientifico.
anche il linguaggio fotografico richiede
una sua armonia. Forme, masse, chiaroscuri, colori, linee, luci e ombre,
toni, devono essere armonizzati sia nell'ambito del complesso fotografico
che in consonanza con il tema affrontato. Accostamenti arditi di fotografie
stampate in modi completamente opposti, l'uso di ottiche esasperate (il
fish-eye ad esempio) senza uno scopo preciso, elaborazioni gratuite, giustapposizioni
macchinose, alternarsi disordinato di formati o di tonalità rappresentano
elementi fastidiosi.
oltre a quelle indicate sopra, altre
qualità concorrono a definire uno stile fotografico appropriato.
La concisione, ad esempio, che richiede una fotografia senza fronzoli,
diretta, essenziale, scarna, non dispersiva; la sincerità, che è
la diretta corrispondenza tra l'animo di chi fotografa e l'idea espressa,
senza artifici e senza forzature; la eleganza, che è fatta soprattutto
di discrezione, di semplicità, di adesione al tema affrontato, di
naturalezza anche di fronte ad interventi operativi ardui.
Nonostante tutte le regole che potremmo proporre, però, uno stile è determinato essenzialmente dalla personalità di chi lo esprime, in cui si riassumono i dati dell'esperienza storica, la disponibilità di determinate attrezzature, le conoscenze, il carattere, le idee e Ile convinzioni di ciascuno. In questo senso, lo stile caratterizza e personalizza il lavoro di un uomo in modo che esso giunge a differenziarsi da ogni altro. Esso però, soprattutto in fotografia, rappresenta un problema notevole: il fatto di ottenere delle immagini mediante un procedimento meccanico comporta una estrema difficoltà a imprimere in esse qualcosa che indichi chiaramente il suo autore.
Tuttavia diversi elementi concorrono a facilitare e talvolta ad obbligare a uno stile persona. In primo luogo la storia di ciascuno, con la sua formazione culturale, il suo patrimonio di conoscenze, la sua sensibilità e la sua personalità: questi fattori determinano una visione del mondo che conduce in una direzione piuttosto che in un'altra, che lo porta a vedere in un determinato modo e a sentire secondo la propria disponibilità. In secondo luogo il presente storico, cioè il momento politico-sociale-culturale che, vissuto con maggiore o minore adesione e spirito critico, determina l'ambiente entro cui nasce e si sviluppa una determinata idea.
In questo senso, l'approccio ad un
soggetto è sempre estremamente personale: si tratta di scoprire,
all'interno dello strumento di comunicazione preferito, quali momenti servono
per tradurre un modo di vedere personale in un modo di esprimersi altrettanto
personale. Schematicamente è possibile proporre almeno tre di questi
momenti:
Esistono modi diversi di collocarsi
di fronte ad una realtà attraverso un obiettivo fotografico. II
creativo seleziona tutto ciò che si trova di fronte alla sua macchina
fotografica; poi compone, inquadra e delimita, inventa in modo che la realtà
assuma delle caratteristiche talmente diverse da risultare assolutamente
nuova. L'oggettivo è alla continua ricerca di una realtà
da conoscere, di fronte alla quale si pone in atteggiamento di contemplazione:
egli si limita a registrare, nella maniera più oggettiva possibile,
quanto il soggetto (in genere il mondo della natura) gli presenta. L'animista
usa l'apparecchio per fermare l'istante fuggevole e talvolta arriva a simbolizzare
la realtà, trasfigurandola non attraverso la manipolazione ma mediante
l'evidenza (l'attimo catturato può così avere valore simbolico
e rappresentare, per lo spettatore tutte le situazioni analoghe a quella
fotografata).
Comprende la scelta e l'uso di tutti
i mezzi tecnici che si ritengono finalizzati allo scopo e, nello stesso
tempo, consoni alla propria predisposizione. Scegliere il formato 24x36
piuttosto che quello 18x24, usare la Leica a telemetro piuttosto della
reflex, privilegiare le forme chiuse piuttosto che quelle aperte, inserire
nel fotogramma delle seconde storie, invece di delimitare rigorosamente
il soggetto; puntare sul tutto a fuoco, piuttosto che sulla messa a fuoco
selettiva, avere senso compositivo o trascurarlo ecc. sono tutti elementi
che, assommati, riescono a costituire gli elementi caratteristici di uno
stile.
Preferire copie morbide piuttosto che
dure, usare la mascheratura oppure no, stampare l'intero fotogramma magari
con il bordo nero o invece delimitare a piacimento il taglio del fotogramma,
sgranare senza complimenti o invece privilegiare la nitidezza estrema ecc.
significa operare delle scelte consone al proprio modo di vedere le cose.
E ogni scelta determina delle costanti caratteristiche che possono servire
a costituire uno stile, valido sempre, al di Ià del genere.
Le caratteristiche personali dello
stile, sono indiscusse. Tant'è vero che noi parliamo dello stile
di Cartier-Bresson o di Avedon o di Atget e comprendiamo immediatamente
ciò che vogliamo indicare con questi riferimenti. Meno pacifica
è invece l'altra affermazione che lo stile è talvolta determinato
anche dal soggetto che un operatore si trova a dover trattare: che cioè,
per fare un esempio, Avedon usa uno «stile» completamente diverso
quando fotografa Eisenhower e quando fotografa invece Audrey Hepburn. E
tuttavia, in entrambi i casi, noi avvertiamo lo stile-Avedon. La contraddizione
sembra apparentemente insanabile. È possibile risolverla, invece, chiarendo
i termini che usiamo. Lo stile dell'uomo è l'insieme di strumenti
(culturali e operativi, per dirla in breve) caratteristici dell'individuo,
che determinano un'opera inconfondibile se usati coerentemente: esso ha
una funzione ed una efficacia soprattutto nell'ambito della espressività.
Lo stile della cosa è invece
quel gruppo particolare di strumenti (ugualmente culturali e operativi)
che l'individuo usa nell'accostare una determinata realtà con intenzioni
precise: esso ha una funzione ed un'efficacia soprattutto nell'ambito della
comunicazione.
Per fare un esempio, è ovvio che un fotografo che dovesse affrontare il mondo delle corse automobilistiche, cercherebbe di farlo abbandonandosi al suo a modo di vedere e al suo « modo di fotografare », cioè al suo stile personale. Ma se lo stesso fotografo volesse o dovesse trattare lo stesso tema per comunicare, di volta in volta,
1) l'idea che il mondo delle corse è un ambiente dove si respira la tragedia ad ogni istante;
2) l'idea che questo mondo è fatuo e artificiale;
3) l'idea che esso è condizionato dall'industria;
4) altre idee a piacimento...
è evidente che egli dovrebbe
adattare la propria visione e i propri mezzi espressivi allo stile del
soggetto, cioè al particolare concetto che egli vuole comunicare.
Per essere più chiari, potremmo
definire questo secondo modo di intendere lo stile come genere; e, del
resto, una definizione che prendiamo a prestito ancora una volta dalla
teorizzazione letteraria, che ci viene in aiuto proprio con le categorie
dei generi letterari. Essi rappresentano, se non altro, dei concetti empirici
che servono per determinare alcune forme in cui è possibile comunicare.
Del resto, tutte le aggettivazioni che accompagnano il termine fotografia,
cosa sono se non delle delimitazioni di genere? Esse, in realtà,
non indicano tanto una diversa visione del mondo o una diversa filosofia,
bensì servono a raggruppare omogeneamente diversi modi usati dai
fotografi per dare vita ai propri lavori e per raggiungere gli scopi che
con essi si prefiggono.
I generi determinano lo stile? Probabilmente
sì, se con stile intendiamo il fatto di piegare gli strumenti a
disposizione verso lo scopo voluto. Ma sono a loro volta determinali da
quella che abbiamo chiamato poetica, cioè dalle intenzioni.
Ecco dunque la catena operativa: una serie di convinzioni (ideologiche, culturali, affettive, sociali...) determina la scelta di comunicare qualcosa intorno ad un certo soggetto. Tale scelta condiziona a sua volta il modo di porsi di fronte al soggetto stesso, cioè il genere (drammatico, didascalico, scientifico ecc...). Da un'altra parte la storia personale e la preparazione di ciascuno ha condizionato una certa maniera di fotografare, cioè la predilezione verso determinate soluzioni: quello che noi definiamo stile personale.
Genere e stile insieme determinano
una serie di situazioni operative e di usi pratici dei mezzi messi a disposizione
dalla tecnologia del tempo. Di qui nasce l'atto di fotografare che, attraverso
le fasi del procedimento, porta ad una comunicazione estremamente personalizzata.
L'essenziale è che questa catena di scelte esista e sia cosciente: altrimenti il rischio che si corre è quello di creare confusione non solo agli altri, ma anche a se stessi. Qui di seguito, proseguendo il parallelismo lingua fotografia, si prendono in considerazione alcuni generi desunti dalla letteratura: sono modi diversi di accostamento ad un soggetto, con precise caratteristiche anche linguistiche (cioè come scelta degli accorgimenti del linguaggio).
Non è evidentemente possibile, in fotografia, operare la fondamentale distinzione tra poesia e prosa. Gli elementi esteriori che caratterizzano la poesia rispetto alla prosa nella lingua scritta (il verso e lo schema ritmico, ad esempio) non sono chiaramente identificabili nella fotografia. Così come pare abbastanza difficile distinguere in una immagine gli elementi intrinseci che differenzierebbero la poesia fotografica (sentimento, fantasia, creatività), dalla prosa fotografica (riflessione, intelletto, sistematicità). Anche se, talvolta, potrebbe essere agevole classificare una singola immagine nell'una o nelle altre categorie che, comunque, potrebbero apparire forzate.
La distinzione è qui effettuata
entro un ambito più vasto: le stesse grandi classificazioni qui
proposte (epica, lirica. drammatica, didascalica, narrativa, oratoria)
potrebbero a ragione sembrare arbitrarie e, comunque, o sovrabbondanti
o in difetto. Questa ipotesi si pone non solo come iniziale punto di riferimento,
ma anche come occasione di riflessione e di dibattito.
Esistono due maniere fondamentali di strutturare un fatto di comunicazione (cioè di adoperare un sistema linguistico). L'uno consiste nel parlare il più chiaro possibile, in modo da rendere immediatamente comprensibile ciò che si vuole dire e quindi spingere l'ascoltatore a riflettere su ciò che si dice.
Il secondo, invece, si preoccupa maggiormente
di innovare all'interno del linguaggio, costringendo l'ascoltatore a misurarsi
con il modo con cui si dice. Nel primo caso, l'intenzione dell'autore va
certamente al di Ià dello strumento linguistico; nel secondo vi si sofferma.
Cosa succede, infatti, quando un valido autore dichiara, ad esempio, di
fotografare soggetti che gli stanno davanti senza sapere il perché,
ma solo spinto da vibrazioni e da sensazioni che promanano dalla realtà
che gli si impone? Che lo scopo primario a cui tende non è quello di trasmettere
un messaggio univoco. ma di spingere lo spettatore a vibrare con le stesse
emozioni sue proprio attraverso un trattamento estremamente personalizzato
del soggetto.
Il fotografo, a questo punto, propone se stesso le proprie
idee non più con dei messaggi univoci comunicati attraverso il mezzo
fotografico, ma lo fa assumendo il proprio linguaggio come fine, all'interno
del quale il lettore viene spinto a riconoscere la novità, l'efficacia
espressiva, la potenza del sentimento, la sapienza dell'articolazione.
La conclusione è che occorre
operare scelte consapevoli, per non rischiare di creare equivoci che ingannano
talvolta prima se stessi degli altri.
Lo studio di un fenomeno non si esaurisce
certamente nella classificazione delle modalità attraverso cui esso
si manifesta, è comunque ragionevole attendersi che la classificazione
consenta una più precisa comprensione di ciò che si sta esaminando.
Pochi sono, fino ad ora, i tentativi di proporre schemi teorici adatti
ad analizzare quanto in campo fotografico si produce. Forse perché
da troppo poco tempo viene riconosciuto alla fotografia il ruolo di mezzo
espressivo, non si sono ancora consolidati gli strumenti di scomposizione
e identificazione che la comunicazione verbale possiede invece da lungo
tempo.
La suddivisione in generi è
un primo elementare ed insufficiente tentativo che è possibile perseguire
per giungere a chiarire i temi e le modalità proprie del linguaggio
fotografico. Ciò è forse reso possibile dal fatto che letteratura
e fotografia hanno in comune molto più di quanto si sia disposti
a credere dato che servono entrambi a comunicare.
Ecco, in modo schematico, una ipotesi
di classificazione.
A) Genere epico
Tende a colpire l'uomo con la grandiosità
di una situazione, impressionarlo ed esaltarlo nei propri sentimenti ed
istinti. Nasce in questo modo il mito, attraverso il quale l'uomo celebra
le sue qualità o quelle della natura.
B) Genere lirico
Soggettivo, spontaneo, libero, attraverso
di esso l'uomo riflette la propria forma interiore sulla realtà
che gli sta davanti, assumendola come espressione simbolica di se stesso
e dei propri sentimenti intimi.
C) Genere drammatico
Privilegia connotazioni drammatiche
della realtà provocando forti emozioni.
D) Genere narrativo
Abbraccia un vastissimo campo dell'attività
fotografica dove l'autore interpreta ed analizza ciò che vuole comunicare,
vi si intrecciano l'oggettività del fatto reale e l'atteggiamento
soggettivo di chi racconta.
E) Genere didascalico
Rappresenta dati di fatto, con lo scopo
finale di informare, istruire, educare. Pur attraverso la dichiarata registrazione
obiettiva, implica la possibilità di manipolare le situazioni.
F) Genere oratorio
È un tipo di comunicazione che
spinge a pensare e ad agire in un determinato modo; potenza e ricchezza
di effetti, piacevolezza e immediata comprensibilità del linguaggio
sono, in questo genere, finalizzati alla persuasione.
Questo tentativo di classificazione può essere naturalmente confutato da un esperimento diverso, persino in aperta contraddizione col primo; la schematizzazione proposta è una ipotesi di prima sistemazione organica di un possibile quadro di riferimento per lo studio del linguaggio iconico.
Gabriele Chiesa