La fotografia è nata come tecnica di riproduzione
della realtà: partendo da questa è possibile manipolare tutta
una serie di fattori come l'inquadratura, il contrasto, il colore le reazioni
chimiche in gioco, la forma e la prospettiva delle figure. Rimane però
sempre la necessità di partire da qualche cosa che già esiste.
Non si tratta infatti di dar forma ad un materiale: la fotografia serve
piuttosto a dar materia a una forma. Ciò implica una serie di operazioni
ottiche e chimiche che consentono trasformazioni e sottrazioni sul complesso
dell'immagine; aggiunte sono possibili solo servendosi di altre immagini.
Sulla legittimità degli interventi manuali
si discute fin dai tempi di Niepce che, tra i primi a tentare la via della
fotografia, disperato, dopo anni di tentativi insoddisfacenti, propose
nel 1829 a Daguerre di ritoccare le lastre in modo da rendere più
leggibili le incerte immagini che su queste si formavano. Daguerre ne fu
scandalizzato e rispose che "la natura ha la sua ingenuità
che non deve andare distrutta": era questo l'inizio dell'estetica
oggi conosciuta come "fotografia pura". Ben presto i pittori
cominciarono a servirsi della fotografia e i fotografi a dichiararsi pittori,
iniziarono così le discussioni sull'artisticità del procedimento
fotografico.
Resta comunque il fatto che, se i processi ottico-chimici
hanno particolari limiti, altrettanto si può dire per la pittura
e il disegno: il mezzo tecnico condiziona inevitabilmente il prodotto.
Fermandoci poi a considerare i tradizionali schemi
artistici di fabbricazione delle icone, ci rendiamo conto che, se un tempo
essi erano impiegati per ottenere diversi scopi (informazione, documentazione,
istruzione, ecc.), vengono ora utilizzati essenzialmente per farne prodotto
commerciale o arte fine a se stessa. Nessuno più si sogna di incidere
una lastra di rame per stampare una serie di immagini sacre da vendere
davanti alla Basilica di Padova: economicamente molto più produttiva
è la fotoincisione (magari di un antico dipinto). La macchina fotografica
rimane quindi oggi uno strumento flessibile in grado di insegnare la matematica
o la geometria, fare poesia o pornografia, ricattare o adulare, scrivere,
scherzare e mille altre cose ancora; volendo ci si può anche far
fotografie che servono a "far fotografia", ma questo è
proprio il suo uso più inutile.
Milioni di fotoamatori nel mondo si dedicano a generi
ben riconosciuti e delimitati quali, ad esempio, il nudo: vengono in questo
modo prodotti annualmente quantitativi impensabili di raffigurazioni, che,
lungi dal costituire un omaggio alle donne, ne consacrano invece il ruolo
di oggetto e, in questo caso, anche di strumento di consumo. La spaventosa
maggioranza di queste fotografie, una volta esaurito lo scopo di consentire
illusioni di arte nate a causa del soggetto comunemente ritenuto "artistico",
è destinata a non lasciare alcuna traccia di sé. Sarà
sempre possibile ripetere qualcosa del genere in qualsiasi tempo e in qualunque
parte del mondo.
Le immagini più banali che fanno invece la
vita di ogni giorno e, in definitiva, la storia, sono invece snobbate perché
poco degne. Probabilmente il racconto di una gita in automobile con code
sull'autostrada (e forse queste cose appartengono già al passato),
pattume in pineta e allucinato rientro, non ha molte probabilità
di affermarsi ad un concorso fotografico ma ne ha molte di più di
diventare un documento di rilevante importanza storica. Il risultato è
che oggi gli archivi rigurgitano di negativi con tagli di nastri, pose
di prime pietre e manifestazioni varie, mentre sono pressoché introvabili
le immagini degli ambulanti banditori, militari in libera uscita anche
solo di trent'anni fa.
Un qualificato contributo alla diatriba su fotografia-arte o fotografia-documento avrà forse la possibilità di esprimersi nelle aule dei tribunali italiani. La legge n. 633 del 1941, definita con il decreto n. 19 dell'8 gennaio 1979 riconosce il valore di opera alle fotografie con spiccato valore artistico (diritti tutelati per quarant'anni), mentre ogni altra immagine può essere riprodotta vent'anni dopo la sua pubblicazione. Riusciranno i giudici a risolvere l'annoso dilemma arte o documento?
Cosa rappresenta questa fotografia? Si tratta di un prodotto artistico? Riproduce qualcosa di reale?
In realtà si tratta si tratta di uno scarto che raccolsi da terra di fronte ad un antico monumento ravennate, nota meta turistica.
Probabilmente la fotografia nasceva come semplice immagine ricordo e forse doveva ritrarre una persona. Il caso fortuito ha trasformato l'oggetto in qualcosa che l'autore ha ritenuto indegno delle intenzioni e che io ho invece riconosciuto come atto creativo involontario.
L'immagine è certamente il prodotto di fenomeni ottico chimici oggettivi ed è quindi, a suo modo, un documento. Manca fose solo l'intenzionalità per farne un prodotto artistico.
In ogni caso l'immagine mi piace così come è. per le sensazioni e l'emozione che suscita in me.
Riproporre questa polaroid pubblicandola qui le conferisce poi una posizione di rilievo, rispetto ed attenzione che la rivestono di dignità al di là della volontà di chi l'ha realizzata.
Forse il centro della questione non sta nelle cose che si guardano ma nel modo in cui si guarda.
Gabriele Chiesa