La collezione delle lastre
"Tenente Gianni Peri"
(periodo della Grande Guerra)

La grande guerra,
150 immagini inedite della
prima guerra mondiale

Grande mostra (a cura di Ken Damy e Gabriele Chiesa) di immagini inedite della prima guerra mondiale.
La mostra itinerante può essere richiesta al MUSEO KEN DAMY DI FOTOGRAFIA CONTEMPORANEA, Corsetto S.Agata 22, Brescia.

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Testo © 1998 by gabriele chiesa

Cavalcamento di obice 280 A su affusto
Le lastre da cui sono state tratte le immagini di questa mostra fanno parte di un unico giacimento fotografico scoperto da Ken Damy nel 1991. Ho resistito non poco al suo invito di occuparmene. Era immediatamente evidente che si trattava di un lavoro lungo e complesso, che chiedeva di essere condotto su diversi livelli di sviluppo.
In quello scatolone c’erano 26 scatole di storia. Su alcuni contenitori erano stati diligentemente annotati i soggetti, ma nel corso di 80 anni era evidente che le lastre erano state più volte osservate e riposte in modo disordinato.

Il tempo non era trascorso senza lasciare traccia. Quasi tutte presentavano una vistosa ossidazione verso i bordi e in molte la gelatina era ormai irrimediabilmente rigata e talvolta staccata in alcuni punti.

Il pesante archivio di immagini testimoniava con evidenza gli immani sacrifici che aveva richiesto la prima guerra mondiale. Il fotografo, un ufficiale che compariva in diverse riprese, aveva scelto di rappresentare gli aspetti della guerra legati ai mezzi con i quali aveva quotidianamente occasione di operare.

Traino cannone in trincea

Lontano dalle preoccupazioni di rendere qualsiasi servizio di informazione e forse anche di documentazione, rimaneva affascinato dagli aspetti legati all’impiego di macchine e tecnologie, non tralasciando di ricercare anche rappresentazioni con qualche pretesa espressiva. Popolava le riprese di uomini per me così poco soldati e così sfacciatamente contadini e operai nella figura e nella posa, quasi inaspettatamente infagottati in abiti militari, apparentemente nel posto sbagliato per un capriccio del caso.

Il formato impiegato denuncia i vincoli imposti da una pesante fotocamera che poteva operare praticamente solo montata sul cavalletto. Tutte le scene risultano quindi premeditate e la posizione della fotocamera studiata in funzione della posizione prevedibilmente più favorevole. Purtroppo ogni avvenimento che comportasse un certo livello di azione, finiva spesso per avere uno svolgimento imprevisto, per cui le inquadrature divenivano non di rado approssimate (riposizionare il punto di ripresa con i vecchi cavalletti in legno non era certo cosa agevole e rapida).

Pezzi Skoda (117/14?) abbandonati dagli austriaci in ritirata

Operare poi in ambienti in cui il mutare delle situazioni conduceva a sfidare indifferentemente la neve, il fango o la polvere era certamente un’impresa eroica. Sicuramente senza il tempo per dedicarsi interamente alla ripresa, costretto dalla pressione degli impegni del ruolo e del grado, il nostro sconosciuto fotografo ha tuttavia osato riprese di fronte a cui la rinuncia sembra oggi l’unica saggia decisione.



Pensare a fotografie istantanee in quelle condizioni era un’illusione. Eppure la passione del fotografo trovò la forza di affermare la volontà di registrare a dispetto delle esposizioni esasperate e dei lunghi tempi di posa. In effetti la presenza di numerosi "mossi" è un prezzo che si accetta volentieri pur di godere di testimonianze così forti ed uniche.



Le lastre abbracciano anche un periodo precedente allo scoppio del primo conflitto mondiale. Diverse interessanti immagini sono dedicate all’intervento in Libia.

Alpini verso il Pasubio

L’epoca delle prime riprese si può dedurre da un curioso ritratto di due giovani donne, che paiono gemelle. Vi si può infatti osservare il "Corriere della sera" del 12 luglio 1994" che riporta notizie, ancora curiosamente attuali, che riguardano problemi per ferrovie e complicazioni tributarie; la polveriera dei Balcani è già pronta ad esplodere e a trascinare in guerra milioni di esseri umani :"Voci di accordi tra Potenze per rimediare al caos Albanese". In realtà le gemelle sono frutto di un sapiente trucco fotografico: si tratta infatti di una doppia esposizione.



Dalle immagini si è potuto dedurre che l’autore si era sposato al termine della guerra. Insieme alle lastre, sono sopravvissute al tempo una piccola serie cartoline di nudo di bellezze nordafricane e un’ardente lettera d’amore firmata Amelia.

Dalle riprese si arguisce inoltre che continuò a vivere una vita agiata (fu fortunato possessore di una monumentale vettura Ansaldo). Ebbe da Amelia prima un figlio e poi una bambina. Si dedicò a numerose riprese di nature morte, privilegiando porcellane e cristalli. Sono proprio state queste lastre a indurre a richiedere informazioni presso un vecchio negozio di Brescia che commercia da decenni proprio questo genere di articoli.
È stato così possibile ritrovare la figlia del fotografo, Pinuccia Peri, che ha permesso di identificare con certezza l’Autore.

Mascheramento pezzi di artiglieria

La mostra storica (tratta da una selezione di 150 lastre su 500) è stata curata da Ken Damy e da me stesso. Grazie alla gentile collaborazione di diversi consulenti specializzati (mi corre il dovere di ricordare almeno: Cav. Alessandro Massignani – storico -, Prof. Claudio Gattera – storico -, Gen. Luigi Cavallari -storico settore artiglieria -, Dott. Gian Maria Bonsetti - esperto artiglieria -, Gino Rossato - editore specializzato grande guerra -) è stato possibile identificare luoghi e materiali. Una grande mole di lavoro di analisi e di identificazione rimane tuttavia ancora da svolgere. A questo proposito voglio invitare chiunque sarà in grado di riconoscere luoghi e personaggi o di fornire informazioni di carattere storico a farlo senza esitazione: gliene sarò veramente riconoscente.



Mettere mano a documenti storici ancora inesplorati mi ha dato subito grandi emozioni e procurato non poche preoccupazioni. Si trattava di togliere quei volti dalla nebbia del tempo e fare rivivere i loro sforzi e quelli di tutta una nazione che si dissanguò per portare sulle montagne quantità impensabili di materiali di tutti i generi e decine di migliaia di uomini che non ne ridiscero mai più. Deposito automezzi distrutto

Dal punto di vista tecnico-fotografico mi si proponeva una sfida stimolante e nuova.

Ken Damy è sempre stato pronto al nuovo e attento ad ogni innovazione. Da subito ha pensato ad accostare la tecnologia più evoluta alle lastre d’epoca. Ciò avrebbe permesso di recuperare informazioni visive altrimenti perse a causa delle alterazioni delle emulsioni.

Si trattava insomma di procedere all’acquisizione e poi al restauro elettronico delle immagini per giungere infine al loro trasferimento su di un supporto durevole che consentisse di salvare nel tempo le informazioni che contenevano.

Le scansioni sono state effettuate presso lo Studio Negri dai miei amici Mauro Negri (che si è poi occupato di curare le stampe finali) ed Alberto Faccoli. è stato utilizzato uno scanner scitex ever smart, capace di una risoluzione di 6400 dpi ottici.

Io mi sono invece occupato di classificare il materiale e procedere al restauro elettronico delle immagini acquisite.

Aviatore in posa davanti al biplano dopo un atterraggio di fortuna

Sono ormai una trentina d’anni che pratico la stampa fotografica con le tradizionali tecniche ottico-chimiche e che mi occupo di studi storici e linguistici nel campo della fotografia. Questo nuovo impegno non poteva evitare di condurmi a riflettere sulle trasformazioni che la comunicazione fotografica sta attraversando.

Ritengo che lo specifico della fotografia tradizionale sia da ricercarsi nella continuità fisica della catena di produzione dell’immagine. Il processo mantiene la sua identità ottico-chimica in ogni fase, cosicché la diretta impressione che il soggetto genera nel materiale fotosensibile, si replica attraverso una sequenza ininterrotta di fenomeni omologhi, tutti legati a trasformazioni chimiche direttamente indotte dalla luce.

Con l’immagine digitale, in uno o più momenti, questa continuità viene interrotta per affidare la memoria dell’informazione ad un supporto che cessa di mantenere il rapporto quasi fisico che lega la luce al materiale fotosensibile. Ci troviamo allora di fronte ad una sorta di traduzione che, se non altera la figura, trasforma sicuramente la sua struttura profonda. La restituzione si esprime infine attraverso i pigmenti che una stampante applica e non più attraverso le trasformazioni generate direttamente dalla luce, originariamente riflessa grazie alla presenza fisica del soggetto stesso.

Cannone da assedio su affusto De Stefano

Sono rimasto stregato da quei volti di soldati che la fotografia ha mantenuto a galla nel mare dell’oblio in cui la storia affonda la povera gente. L’ingrandimento progressivo consente di scoprire i più minuti dettagli fino ad arrivare a perdersi nella trama su cui si fonda l’intera immagine: la grana fotografica ed il pixel digitale. Qui si gioca lo scontro tra la realtà e l’arbitrio e si scopre lo specifico della fotografia digitale.

Ho ricominciato molte volte il lavoro da capo. Ogni volta ripartendo da un nuovo livello di consapevolezza. La prima volta che Mauro mi ha visto lavorare su una scansione ha esclamato allibito : "Ma questo non è ritocco fotografico, questo si chiama dipingere!". Il suo non era ovviamente un apprezzamento. Abituato ad un religioso rispetto delle immagini d’epoca (è l’erede di un prestigioso ed antico archivio fotografico), intendeva manifestarmi tutta la sua disapprovazione per ogni intervento che vada oltre l’integrazione critica.

Serventi al pezzo, obice 305/17 sul Colle Xomo

Operare sull’immagine digitale costituisce una singolare occasione per prendere coscienza di come funzionino i nostri meccanismi di percezione ed interpretazione visiva. Un’operazione apparentemente semplice e meccanica come il ritocco si rivela uno spazio d’azione soggetto al capriccio quando non addirittura all’illusione. A volte una briciola bianca sui pantaloni o tra le dita di una mano stava per essere inesorabilmente cancellata e si rivelava invece, ingrandita ancora una volta, uno strappo del tessuto o un mozzicone di sigaretta.

Un buco in una pietra può essere vero; se però non risulta anche verosimile, corre molti rischi di essere ritoccato e di sparire. Ciò che sembra, si trasforma con facilità in qualcosa che decido di fare esistere. In natura non può accadere mai di trovare in terra due sassolini uguali, nella fotografia digitale invece è possibile accostare un numero incredibile di oggetti replicati assolutamente identici (foglie, per esempio) mantenendo comunque la raffigurazione perfettamente plausibile, anzi perfino più realisticamente accettabile di una presenza a volte ingannevolmente impropria.

Questa operazione di ricostruzione di brandelli ormai irrecuperabili della realtà è quella che definisco come clonazione della microrealtà ; tanto facile e comoda da generare, per riempire i vuoti della memoria fotografica, e tanto difficile da controllare nei limiti dell’indispensabile. Il rischio è quello, terribile, di ricusare quello che esiste e di inventare quello che sembra. Negare i baffi ad un viso lontano, che sembra solo sporco, e ricucire uno scarpone, perché non pare rotto... sono solo dettagli o è forse il primo passo verso alterazioni di sempre maggiore rilevanza, adottate solo perché soggettivamente convenienti ?

Accampamenti sulle pendici del Pasubio

L’illusorio mito dell’obiettività fotografica trova nell’immagine digitale il suo esasperato vertice, dove finzione ed autenticità si confondono inscindibilmente. Trovare un accettabile livello di compromesso proprio in relazione ad immagini di eminente valore storico non è forse definitivamente possibile.

Personalmente ho tentato di mantenere sostanzialmente ogni lastra nell’oggettività di ciò che sembrava mostrare, con i suoi difetti e con gli inevitabili segni del tempo.

Gli interventi effettuati appartengono prevalentemente all’ambito del controllo più eminentemente fotografico su aree specifiche dell’immagine: schiarimenti, mascherature, modificazione delle curve di livello, adattamenti di contrasto e di luminosità...

Gli effetti degli stress meccanici e chimici sono stati solo parzialmente nascosti, unicamente per quel tanto che la leggibilità ne potesse trarre giovamento.

Certamente le stampe avrebbero potuto assumere l’aspetto del nuovo e del perfetto.

Non ci è però sembrato eticamente corretto che una guerra fatta di pulci, fango, sangue e stracci (ma esistono guerre meno sporche?) potesse essere rappresentata da una serie di nitidissime stampe, tutte perfettamente sterilizzate e linde.

Eppure queste lastre conservano traccia di qualcosa di grande ed orgoglioso, forse di enorme e di tragico. Rimangono comunque parte viva delle nostre radici.

Gabriele   Chiesa



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Indice delle immagini









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