Elementi di stile e di genere nel linguaggio fotografico

© 2000 by Gabriele Chiesa
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LE «ISTITUZIONI»: NORME E REGOLE PER «FOTOGRAFARE BENE»

Nel corso dello sviluppo della propria civiltà, l'uomo ha costruito determinati insiemi di credenze, di convinzioni, di norme e di regole stabilendo dei sistemi. Sostanzialmente il codice fotografico è esso stesso un «mini-sistema», con i suoi dati tecnici e con le implicazioni socio-culturali che comporta. Esso fa parte di un più vasto schieramento di dati a disposizione che si strutturano in sistemi più ampi e articolati.

Esistono i grandi sistemi ideologici, quelli religiosi, quelli filosofici... Esistono i sistemi musicali e quelli artistici; quelli politici e quelli professionali. Ogni gruppo di persone, unificato da convinzioni e da comportamenti, da interessi e da finalità, determina al proprio interno un nesso coerente tra idee, norme di comportamento e pratica che ha lo scopo di raggiungere più efficacemente il fine prefissato. Sistemi aperti e sistemi chiusi coesistono nella società attuale: i primi richiedono solamente un'adesione in via di principio e non fissano rigide norme di comportamento. I secondi (pensiamo ad un esempio storico, la Carboneria) arrivano a fissare minuziosamente precetti e indicazioni operative anche nei dettagli.

Ogni sistema ha i suoi adepti, i suoi maestri ed una serie di « quadri intermedi» che assicurano lo scambio delle informazioni da un livello all'altro.

Se le cose stanno così, cerchiamo di vedere. mantenendo il parallelo tra il linguaggio verbale-letterario e il linguaggio fotografico. quali sono le osservazioni che ci possono essere utili.

A livello letterario, lo strutturarsi di determinate regole che si propongono un dato comportamento ritenuto produttivo ai fini della «artisticità», comporta la nascita delle cosiddette «Istituzioni».

Cosa sono le Istituzioni, se non le norme codificate dall'uso, dalla tradizione, dall'autorità dai maestri, in «sistemi»?

La parola va intesa, evidentemente, in senso letterario, e non politico (dove le Istituzioni sarebbero lo Stato e gli organismi di direzione politico-amministrativa). Le Istituzioni, nella tradizione classica della Iettatura, determinano delle norme didattiche (desunte dall'esperienza e dalla «scuola dei maestri») che servono a trasmettere di generazione in generazione (talvolta sempre uguali, talaltra arricchite via via), una sapienza conservata dai « maggiori» e utile all'azione. Abbiamo così assistito allo stabilirsi di canoni fissi per la lirica, desunti dalle poesie petrarchesche; o di regole auree per l'oratoria determinate proprio dalle normative della retorica.

Il difetto di queste istituzioni è quello di tendere sempre più a trasformarsi in criteri assoluti (mancando i quali non si dà artisticità ), in principi essenziali, in regole fisse e talvolta mortificanti.

Anche la fotografia ha le sue Istituzioni? Oseremmo rispondere in modo affermativo, anche se esse non sono state codificate in un trattato definitivo. Si tratta piuttosto di criteri e di regole che viaggiano nell'aria e che vengono respirate in determinati ambienti. Pensiamo per un istante a certi club fotografici, dove alcuni feticci (presenza di toni puri, incisione, risolvenza in linee per millimetro, messa a fuoco...) ricevono ogni settimana il riverente omaggio dei fedeli.

Oppure consideriamo gli ormai triti luoghi comuni delle cosiddette regole per fotografare bene, che si propinano ai neofiti. O ancora, pensiamo ai gusti imperanti, spesso lanciati da riviste o gallerie o concorsi, in fatto di produzione d'immagini (con le varie epoche: quella del neorealismo meridionalistico, quella del tono alto, quella delle pecore, quella del simbolismo allegorico, quella del concettualismo... fino a giungere, recentemente, a quella dello sperimentalismo).

Si stabiliscono così delle regole non scritte che però servono ad ingabbiare entro schemi rigidi, che hanno i loro santoni nei critici, nei giurati, nei direttivi dei fotoclub. Queste regole hanno, ovviamente, i loro pazienti e spesso disorientati cultori nei fotografi che si adattano, talvolta fino a sclerotizzarsi nella rinuncia della propria personalità, annullata per compiacere le regole del gioco. Cosa importa se le idee o i temi prediletti mal si conciliano con un certo modo di fare fotografia? Si sacrifica I'originalità sull'altare della certezza.

È evidente che norme così rigidamente costituite rappresentano delle gabbie mortificanti. Ma non è questa la vera funzione che dovrebbero assolvere. Se però le intendiamo nel loro scopo essenziale, esse ci possono servire come utilissime indicazioni per comprendere la cultura in cui ogni procedimento tecnico o ogni filone di produzione nasce e si sviluppa, il pensiero filosofico o comunque storico che vi fa da sfondo necessario, le regole tecniche e i procedimenti che consentono di ottenere determinati risultati. In tal modo, questo patrimonio rappresentato dalle convinzioni comuni, ci può essere utile per conoscere quello che è stato prima di noi innanzitutto.

Ma anche per verificarne lo spessore culturale, la validità storica, le linee di tendenza, e per orientare gli elementi che ne derivano secondo la propria attualita e le esigenze del proprio gusto e della propria personalità, in una serie di norme che diventano regole e riferimenti autonomamente assunti. Così, di fronte all'atto di fotografare, ci si può porre nella disposizione d'animo di chi ha sentito che a bisogna fare così, e si ripropone acriticamente di ripetere i modelli che gli vengono proposti; oppure si può vagliare la serie di norme proposte per estrarne quelle che si avvertono più vicine e più produttive per la propria sensibilità e per gli scopi che ci si prefigge. In questo caso, anche le Istituzioni servono per capire il proprio tempo e per amalgamarvisi in maniera responsabile e creativa.

IL «SUBLIME»:
GENIO ED ESTASI AL DI LÀ DI OGNI REGOLA

Esiste un secondo atteggiamento nei riguardi del fare artistico o comunque espressivo: è quello che esclude tendenzialmente ogni serie di norme codificate. Invece di riflettere sul come fare, questo atteggiamento tende a stabilire quali sono le condizioni ideali per fare e giunge a concludere che precettistica e normativa non hanno nessuna ragione d'essere, in quanto I'unica cosa che conta è I'individualità, la genialità e l'intuitività. Non ci si occupa quindi di accorgimenti stilistici, di norme tecnico-operative, ma si cerca di suscitare la passione profonda, I'entusiasmo che supera continuamente I'esercizio e il mestiere. Ci si pone quindi di fronte al problema della comunicazione espressiva non badando affatto né alle precedenti esperienze né all'ordine precostituito di certe norme (che sono anche sociali e storiche). Ma anzi si scompiglia il tutto, privilegiando la tendenza a disporre I'animo a grandezza, sollecitando la mente verso le forze inesprimibili dell'irrazionale che conducono al furore creativo e al genio.

L'esperienza ci insegna che questo atteggiamento è assai diffuso nel panorama della produzione fotografica. Il grande fotografo, il fotografo creativo, il genio della fotografia è sempre più spesso l'espressione di un simile modo di porsi di fronte al problema. La stessa epoca che viviamo, ricca di dubbi e povera di certezze, tende a privilegiare un atteggiamento anarcoide, insofferente di schemi, spesso oscuro nelle proprie giustificazioni e nei propri scopi.

Essenziale, a questo punto, risulta il fare, in qualsiasi modo, con qualsiasi mezzo, attraverso qualsiasi procedimento. Ché anzi, più il prodotto appare incomprensibile, tanto più e spesso è considerato creativo ed originale da chi è troppo pronto ad inchinarsi di fronte a ciò che non comprende.

È così possibile, per fare un esempio concreto, che qualcuno si trasformi in epigone della fotografia all'americana, limitandosi alla vaga intuizione di alcune vene di soggettivismo e di ambiguità di questo filone (peraltro storicamente e culturalmente giustificato) per abbandonarsi alla casualità, al frammentarismo, alla oscurità gratuità.

Eppure, anche questo modo sublime, di accostarsi alla fotografica può essere utile, se considerato nella sua funzione essenziale. Che non è quella di suscitare una miriade di geni, quanto quella di sottolineare l'esigenza e la necessità che ogni opera, ogni prodotto, sia un frutto personale e trasmetta, insieme con i contenuti, anche una parte della personalità dell'autore. È l'esigenza di svincolarsi da schemi imposti al di fuori della libera scelta individuale.

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